IL SISTEMA FASCIALE
Solo negli ultimi decenni è stata approfondita la conoscenza delle qualità specifiche del sistema connettivo e del modo in cui opera nel nostro organismo. Si è scoperto che la fascia influenza in maniera importante la postura e le funzioni di ogni organo e di ogni nostro sistema interno. Si tratta di un tessuto morbido e molto dinamico che possiede flessibilità e allo stesso tempo grande forza.
È un contenitore di energia e un conduttore di informazioni che si forma durante lo sviluppo embrionale ed esiste sotto forma di tessuto continuo in ogni punto del corpo. Si trova in ogni strato della muscolatura, attorno ad ogni organo, in ogni cavità corporea, avvolge il midollo, il cervello, ogni osso e si trova in ogni spazio intercellulare.
Essa stabilisce la dimensione di ogni singola struttura mantenendone intatta la forma e ha la funzione straordinaria di integrare tutte le aree corporee aiutandole a collaborare e a coordinarsi.
Forse perché figli di un’era industriale abbiamo acquisito nel tempo la tendenza a vedere il nostro corpo in termini meccanici, come un insieme di parti distinte. La stessa teoria tradizionale del sistema muscolo-scheletrico sostiene che i muscoli si uniscono alle ossa tramite i tendini che attraversano le articolazioni tirando le ossa le une verso le altre nei limiti di altre diverse parti chiamate legamenti.
Ma le separazioni che implicano queste definizioni anatomiche non tengono conto della nostra reale natura. Nessun legamento esiste da solo, esso si fonde nel tessuto connettivo. Ciò significa che tutti i suoi elementi sono cresciuti insieme dal principio e all’interno dello stesso sistema fasciale.
Ognuno di noi è un insieme di circa cinquanta mila miliardi di cellule unite da una fluida rete fasciale che, in maniera simile alla cellulosa nelle piante, ci compenetra saldamente e si assesta costantemente e in modo naturale accogliendo ogni nostro movimento.
Inoltre, sappiamo che la fascia immagazzina vibrazioni e conserva in sé una memoria. Essa è la sede di traumi motori e psichici ed è il luogo dove si imprime la memoria positiva della salute. Se la fascia è libera e senza contrazioni tutti i nostri sistemi possono respirare, così come una sua anomalia in un punto specifico ha potenziali ripercussioni su qualsiasi altra nostra area.
Da tempo la scienza studia l’impatto dei nostri schemi mentali e comportamentali sul corpo e il fatto che in realtà si tratta di un’influenza reciproca. Ed è ormai chiaro che ogni tipo di stress, specie se non risolto, si traduce anche nel corpo in una tensione cronica. È in questa comune e diffusa condizione umana che la fascia si irrigidisce perdendo di potenzialità.
Il movimento fisico è di certo un ottimo aiuto ma gli allungamenti lenti e morbidi dello yoga, così come alcuni tipi di massaggio, ci permettono di riacquistare la sua plasticità e la nostra piena funzionalità.
Sappiamo, infatti, che la fascia è lenta nelle sue reazioni e necessita di tempo per adattarsi allo stimolo che però mantiene in memoria, per cui prendercene cura implica una certa costanza. Non è un caso che lo yoga e tutte le sue pratiche come anche la meditazione e la respirazione siano state sviluppate per favorire un cambiamento e un miglioramento di tutta la nostra struttura psicofisica.
Perché lo yoga possa favorire il nostro benessere è importante che la pratica sia regolare nell’offrire stimoli ed opportunità costanti che ci consentano di liberarci da tensioni fisiche ed emotive e che permettano di nutrirci e rinnovarci in una sempre nuova e benefica integrazione.
La voce del Cuore
Essere genitori, educatori, è un compito spesso faticoso che richiede un impegno fisico ma soprattutto una costante presenza a livello emotivo e mentale.
Come definire ciò che è giusto per noi e per i nostri bambini?
Credo che nessuno abbia la verità in tasca, ma sento che alcuni punti meritano una riflessione. Ad esempio spesso mi soffermo a ricordare che l’educazione è un processo naturale del bambino che avviene attraverso la sua esperienza in un ambiente in cui si può esprimere. E sento che, in questo, l’ascolto diventa un momento fondamentale. Il bambino necessita di essere accolto nei suoi bisogni ma comprende il linguaggio dell’esperienza più di quello delle parole, per cui se abbiamo l’impressione di non essere ascoltati, proviamo ad ascoltarlo.
Alzare la voce per farsi ascoltare è una tentazione che tutti conosciamo e spesso ci cadiamo senza accorgerci che gridare non solo non educa, ma chiude ogni comunicazione e lentamente inibisce una relazione sana e costruttiva. Senza dimenticare che un bambino interpreta le grida come un’espressione di odio e se a lui ci rivolgiamo in questo modo, in fondo si sentirà respinto, non amato.
L’atto di gridare ha uno scopo ben preciso nella nostra specie come in tutte le altre. Gridare significa pericolo, rischio. Il nostro sistema di allarme si attiva producendo cortisolo, l’ormone della paura, che ci induce fisicamente e biologicamente a fuggire o a lottare. Se comunemente utilizziamo le urla come strategia educativa possiamo immaginare quanto, a livello emotivo, possa essere dannosa una condizione di continuo stress e allarme.
Di certo è impegnativo imparare a comunicare con un bambino ma, se lo facciamo, eviteremo di rendere sordo il suo sentire.
Guidare e sostenere con autorevolezza e senza ricorrere alle urla avrà un impatto positivo sullo sviluppo della sua personalità perché ci permette di prenderci cura del suo mondo emotivo, di alimentare la sua autostima e di mostrargli che una comunicazione efficace si basa su ascolto, comprensione e connessione.
Ogni volta che stiamo per alzare la voce diamoci la possibilità di fare un passo indietro. Prendiamoci qualche respiro per sentire dove siamo, cosa ci sta innescando quella reazione, dove nasce. La sua causa è davvero da ricercare al di fuori di noi? Oppure siamo forse stanchi, mentalmente carichi, emotivamente provati dalle nostre umane battaglie? In questi casi sento che perdere il controllo non significa solo perdersi ma molto di più. Se abbiamo un bimbo di fronte vuol dire perdere una preziosa opportunità di comprendere cosa gli sta accadendo, cosa sente. Perché c’è sempre un motivo dietro un comportamento o una situazione e comprenderlo può solo facilitare un reciproco e fruttuoso dialogo.
Per quanto possibile, tra le grandi difficoltà dei nostri tempi che tutti ben conosciamo, impariamo ad ascoltarci per poter offrire la giusta attenzione anche ai nostri bimbi. Regaliamoci in famiglia la condivisione di un tempo di qualità, poniamoci come figure di supporto incondizionato per i nostri piccoli.
Proviamo ad abbassare il volume della voce per ascoltare meglio il nostro cuore.
LA GRANDE MADRE
In ognuno di noi, donne e uomini, vive la Grande Madre.
L’archetipo della naturale forza del femminile che trascende la mente e l’azione, la matrice della protezione benevola che nel buio invisibile del sentire favorisce fecondità, nutrimento, crescita, trasformazione e rinascita.
La Grande Madre è l’origine, la creatività del grembo materno che nelle società matrilineari si manifestava nella Natura e nella Madre Terra. Si esprimeva nei sentimenti di condivisione, relazione e pace e si è andata man mano rivelando in noi anche come consapevolezza amorevole, come elemento di comprensione e compassione in onore del quale il nostro bene diventa quello degli altri e quello degli altri il nostro.
È la sua essenza ciò che negli ultimi anni mi sembra stia tornando in superficie ad esprimersi in maniera diffusa sotto forma di connessione con la natura, con un senso di protezione dell’ambiente, e che ci sta riportando lentamente ad una relazione armoniosa con la nostra natura più pura, con tutto ciò che ci circonda e di cui siamo parte. Stiamo gradualmente ritornando ad un’attenzione alla Terra, ad un senso di ecologia profonda che ci accompagna verso scelte più naturali, così come sta accadendo nel campo della alimentazione grazie ad una rinnovata consapevolezza crescente.
In questo modo sento il sacro femminile, come la possibilità di diventare madri del Tutto. Si tratta di un sentire che si traduce nella disponibilità a poter essere madri di ogni cosa al mondo, senza alcuna distinzione o separazione.
Significa ascoltare chi siamo e riconoscerne il valore. Significa ammorbidire il cuore per poter lasciare accadere la vita e permetterle di manifestarsi diventandone onorati custodi.
Essere madri significa aprire e aprirsi, significa costruire, accogliere la vita e raccoglierne i frutti, significa condividere diventando madre di ogni creatura perché la si sente propria.
Vuol dire dare il meglio di sé, cercarlo ogni giorno e trovarlo in ogni dimensione.
Essere madre significa comprendere e accettare, vuol dire unire, scavalcare muri e accorciare distanze. Significa incontrarsi ed incontrare, ascoltare il proprio spazio vitale ricco di una saggezza antica, pieno di risorse creative naturali e di profonde competenze innate.
Riconoscere e vivere la Grande Madre è celebrare la vita nella sua sapienza e assecondarla nella costante ricerca di una unità spesso inascoltata.
Il Linguaggio dello Yoga
Ogni cosa esistente si compone di una vibrazione e di una frequenza elettromagnetica. Comunemente le parole delle lingue moderne hanno la funzione di indicare e connotare l’oggetto cui si riferiscono, invece il Sanscrito denota la vibrazione e la frequenza di quell’oggetto. Il vocabolo che lo descrive esprime la sua vibrazione nel mondo, facendo sì che suono e significato non siano più due entità distinte.
Il Sanscrito è una lingua vibrazionale perché non è il solo suono a dare importanza alla parola ma la vibrazione che trasmette. Il suo alfabeto è formato da sillabe chiamate Mantrika (Piccola Madre) perché in ognuna è insita la capacità di manifestare e creare l’energia e la vibrazione di ciò che si sta nominando. Questo è il potere del Sanscrito ed è il motivo per cui spesso i maestri chiedono di ripetere i Mantra senza doverne manifestare il significato letterale. L’essenza primaria del Mantra è connaturata nel suo suono.
Ogni parola di questo straordinario linguaggio ha molte sfumature e significati, si tratta di una lingua evocativa e ogni espressione possiede un tale profondo significato da raggiungere la vera essenza dell’oggetto che descrive.
Si parla di lingua vibrazionale anche perché le parole si possono sentire attraverso il corpo. Le singole sillabe vi accedono attraverso diverse vibrazioni, toccando punti specifici. Se consideriamo il fatto di essere costituiti per la maggior parte di acqua, è più facile comprendere che come una goccia nell’acqua crea movimento, così una vibrazione energetica risuona nel nostro movimento interiore. È comprensibile allora come lo Yoga rappresenti un fecondo percorso di cura di sé anche grazie all’apporto fondamentale di un linguaggio vitale quale preziosa opportunità di favorire la guarigione del corpo fisico, emotivo, mentale e spirituale. Personalmente condivido la ricchezza dei Mantra, e la propongo nella mia pratica, come una modalità di ascolto intimo che riallinea interiormente e sintonizza con la vibrazione universale. L’intonazione delle loro sillabe favorisce un diretto contatto con la nostra parte più autentica permettendoci di ascoltare, purificare ed armonizzare ogni livello del nostro essere. Del resto si dice che il Sanscrito, originariamente chiamato Devangari (cioè il mezzo di comunione con gli dei) sia molto più di un linguaggio e che il suo suono possa riflettere quello cosmico, il Suono universale che genera, nutre e sostiene ogni cosa. Non è un caso che nella religione induista l’utilizzo del Sanscrito sia la prima Sadhana, la prima pratica salutare diretta a riportarci alla nostra connessione con il Tutto. E non lo è nemmeno il fatto che le divinità vediche siano considerate i semi dell’Universo e che da questi sia stata sviluppata ogni lettera dell’alfabeto di questa incantevole lingua.
Come si pratica un Asana?
Il termine sanscrito Asana contiene la radice as che riconduce al significato di sedersi, restare, ma anche di essere presenti, celebrare e fare qualcosa in modo costante e senza interruzione. Un ventaglio di sfumature che il termine posizione, che abitualmente lo traduce, non riesce nel complesso a rappresentare…e chi ama la pratica sa quanto un asana sia molto più di una postura. Allora come approcciare al nostro Asana?
Credo che un passo importante sia iniziare a prendere consapevolezza del proprio sentire.
Attraverso una fase di ascolto semplice, non sempre facile, possiamo iniziare a percepire ciò che accade nel corpo. Si tratta di momenti di attenzione amorevole in cui poter accogliere quanto emerge ad ogni livello, sul piano fisico ma anche mentale ed emotivo. È una pratica, che sento basilare, di accettazione profonda alimentata dal nostro silenzio interiore.
Ed è senza dubbio una preziosa occasione di comprendere l’importanza dello stare senza il fare.
Con una pratica libera e naturale iniziamo a percepire la vitalità del respiro e impariamo ad ascoltare per poterlo seguire ed assecondare. Rimanendo in uno stato di curiosa apertura iniziamo a percepire i nostri blocchi, a risvegliare muscoli dormienti e a rilasciare tensioni diffuse. Grazie al respiro possiamo liberare il corpo dalla memoria che si è consolidata nel tempo dell’esperienza.
Sento questo tipo di attenzione come una qualità fondamentale da coltivare con pazienza e fiduciosa determinazione. Attraverso un impegno fisico graduale ed una premurosa costanza possiamo ridurre al minimo anche il conflitto della postura. Grazie, infatti, ad un’osservazione consapevole il corpo si accomoda in un appoggio morbido, la mente si apre alla conoscenza interiore e le emozioni si sciolgono in un lento e benefico processo di cura di sé.
Possiamo in questo modo sviluppare una sana condizione di presenza, imparare a distinguerla dai momenti di assenza e cominciare ad assaporare il senso di una attenzione volontaria e salutare che ci accompagna anche verso lo stare nel fare.
Potremmo dire allora che un Asana non si fa. Possiamo semplicemente entrare in una posizione con presenza.
Osservare e accogliere apertamente tutto ciò che accade nella sua qualità di esperienza intima e pura e poi uscire dalla posizione con un nuovo sentire, più denso, e con una rinnovata autenticità nel nostro essere. Sperimentare un Asana significa apprezzare la possibilità di percepire quello che sentiamo in ogni momento della pratica per conoscere chi siamo e prenderci cura del nostro benessere.
Che cos’è un Asana?
Oggi molto spesso gli asana rappresentano la quasi totalità della pratica che viene comunemente proposta, per qualche motivo le posizioni sono diventate da tempo l’elemento maggiormente rappresentativo dello Yoga.
Ciò è avvenuto per una serie di concause che sarebbe lungo affrontare, oltre a non essere questo l’ambito, e probabilmente non darebbe risposte utili. Preferisco solo soffermarmi sullo stato attuale dello Yoga perché mi aiuta a focalizzare ciò che sento importante nella mia pratica e in quella che offro.
Senza dubbio lo Yoga, come ogni altro aspetto dell’esistenza, è in continuo movimento, evoluzione, cambiamento e lo è sempre stato. Alla luce di questo nella mia pratica scelgo di mantenere saldi alcuni aspetti che continuo a considerare fondamentali, ma cerco anche di aprirmi a nuovi saperi e a nuove esperienze, spesso trasversali, che mi arricchiscono e che mi offrono la possibilità di trovare anche nuove risposte.
In particolare, nel flusso del cambiamento sento importanti due elementi.
Il desiderio di praticare e diffondere lo Yoga nel suo essere un naturale e consapevole stile di vita, e la responsabilità di rimanere radicata nella sua essenza, di mantenere vivo il suo obiettivo finale. Scelgo infatti quotidianamente di offrire una pratica intesa come possibilità di andare oltre la comune sofferenza umana che ci caratterizza.
Che cos’è allora un asana e in che modo si distingue da un esercizio fisico?
Gli asana sono una parte dello Yoga, un passaggio di una sua dimensione più ampia e completa. Come descritto nei miei ultimi post, Patanjali li considera come il supporto fisico atto a garantire i successivi stadi di consapevolezza, che in realtà sono già presenti in potenza nella posizione di base del corpo. Allo stesso modo, abbiamo visto come secondo i testi antichi di Hatha Yoga, attraverso le posizioni scopriamo stati di coscienza espansa per i quali è necessario essere preparati fisicamente ed energeticamente.
Ora, se l’attività fisica mira ad attivare e potenziare i nostri muscoli, gli asana facilitano la consapevolezza corporea, lavorano sugli organi interni, regolano l’attività endocrina. Se movimento e contrazione muscolare sono alla base dell’esercizio fisico, nello yoga sono aspetti funzionali. Sono previsti solo nell’ambito iniziale dell’apprendimento destinato a condurci alla fase di mantenimento in cui la muscolatura è rilassata. Metabolismo, consumo di ossigeno e attività fisiologiche in genere che vengono accelerati durante l’esercizio fisico, risultano rallentati nello yoga. Inoltre, la presenza e l’attenzione che la pratica sviluppa nel processo di consapevolezza interiore rimane un aspetto quasi sempre superfluo in qualsiasi esercizio puramente fisico.
E potremmo continuare a trovare altri elementi ancora che caratterizzano la pratica yogica, ma ciò che forse li potrebbe riassumere è il fatto che un Asana è una sorta di alchimia antica in movimento da sperimentare, un’esperienza di conoscenza e trasformazione che agisce dal profondo a livello fisico, mentale, spirituale, un viaggio che dal grossolano ci accompagna al sempre più sottile permettendoci di riscoprire chi siamo.
Libertà e Amore
Ogni creatura ha in sé la purezza dell’essere, dello stare nel presente senza giudizio, senza alcun desiderio o necessità di dover essere altro di diverso.
Ogni nuova vita nasce libera e incondizionata. Ogni nuova vita ha insita la vibrazione naturale della coscienza di sé che la unisce al mondo e questo è ciò che amo riscoprire nel contatto con i bambini e che ogni volta mi fa sentire a casa. Ogni bambino è unico e speciale, ognuno con diversi tempi, modalità e qualità proprie risveglia in me la meraviglia e la naturale essenza del vivere.
Amo osservare le sfumature del loro manifestarsi e continuo ad ascoltare la loro bellezza, a lasciarmi condurre attraverso viaggi emozionanti verso mondi incantevoli. Con loro amo ritrovarmi in quel sapore intimo di libertà autentica che tutto accorda e comprende.
Durante i nostri incontri amo partecipare giorno dopo giorno di ogni piccola conquista e dedicarmi alla nostra pratica insieme affinché ognuno di loro possa seguire un processo di sviluppo il più naturale e armonioso possibile.
Sto volutamente ripetendo il verbo amare perché sento che volermi relazionare con i bambini in maniera efficace significa amarli. Si dice che è possibile amare qualcuno soltanto desiderandone la piena e libera manifestazione. E per me, il fatto di poter partecipare di tutto questo è l’aspetto più bello dell’amore.
Dunque non posso che assecondare il cammino dei più piccoli assicurando loro un nutrimento consapevole. Amare i nostri bambini nella loro libertà di fiorire è la via per accompagnarli verso un sano sviluppo.
La sento come la giusta dimensione per loro e come un’opportunità unica per noi adulti. Si tratta della preziosa occasione di poter ricontattare la nostra autentica libertà di essere e, una volta ritrovata, poterla garantire loro.
Perché, in realtà, si tratta della stessa libertà che ci permette di ascoltarci nel profondo e riconoscerci nella sola vibrazione universale che anima ogni cosa. È la stessa libertà che ci consente di prenderci cura di noi per poter vedere ogni altro essere. È la condizione di naturale amorevolezza che unisce lo sguardo di ogni creatura.
Siamo noi adulti ad avere la possibilità di continuare a scegliere la nostra unicità, a coltivare la nostra libertà e quella dei nostri piccoli e sento fondamentale la responsabilità di questa scelta.
Yogic Running
Ciò che amo osservare nella corsa è il suo modo di rappresentare la vita.
Abbiamo la possibilità di scegliere molti aspetti del correre e soprattutto la facoltà di dedicarvi energie in funzione del nostro stare bene. Decidiamo il momento più opportuno, il tempo che ogni volta gli vogliamo e possiamo dedicare.
A volte scegliamo un percorso e altre lasciamo che sia lui a condurci.
Lungo il tragitto troviamo una rete di strade, bivi, salite, discese, a volte ostacoli. Incontriamo persone, situazioni e viviamo un costante movimento di molteplici esperienze che colorano la nostra esistenza di sfumature che ognuno di noi può utilizzare per modellare e trovare la propria forma interiore.
Ad esempio nell’incontrare un ostacolo possiamo decidere di evitarlo velocemente per non perdere il ritmo, ma il sollievo immediato che ne deriva a volte ci lascia come in sospeso, come se il non vissuto rivelasse poi un certo disagio. Possiamo affrontare le cose prendendo le giuste misure del caso, valutando sul momento e sentendoci comunque aderire in qualche modo al nostro sentire. Oppure possiamo restare e soffermarci. In qualunque caso abbiamo la possibilità di fermarci ad osservare.
L’aspetto che amo di più di queste pause è che lo possiamo fare anche a posteriori, in un successivo momento dedicato ad un ascolto senza giudizio. Possiamo fermarci ad accogliere ciò che emerge nel nostro intimo, in quella stessa situazione o a distanza di tempo, per sentire meglio e scegliere come procedere con nuova consapevolezza.
Non si tratta di bloccare i nostri passi in ogni momento, ad ogni minima sollecitazione, tantomeno di evitare l’ascolto della nostra voce interiore più istintuale, quella che spesso ci aiuta a risolvere velocemente una situazione improvvisa. Quello che colgo in questo muoversi sempre più consapevole è piuttosto un invito a percepire con gentile costanza la possibilità di poterci avvicinare alla nostra verità.
Significa aprirsi alla possibilità di sintonizzare sempre meglio il fare con il sentire. Ed io sento questo come un punto di passaggio importante e come il vero punto di incontro tra yoga e corsa.
Se sei come me un/a entusiasta praticante ma magari stai tralasciando le attività motorie come la corsa, sappi che si tratta di attività complementari. Molti sono i punti a favore di una pratica integrata che unisce i benefici di entrambi i tipi di esperienza.
Spesso in ambito yogico si guarda alle attività più fisiche come a qualcosa di lontano dal puro sentire l’esperienza. E con questa mia riflessione non intendo spingerti ad accantonare il tappetino ma invitarti a considerare gli aspetti positivi di un tipo di attività che non solo potrebbe rivelare la sua utilità, ma anche dimostrarsi un tipo di esperienza del tutto affine alla tua pratica.
Sento il correre come una possibilità di stare nel fare, come un’ulteriore opportunità di vivere lo yoga nel quotidiano e con l’aggiunta di diversi effetti benefici. La corsa stimola infatti il nostro apparato cardio-circolatorio e favorisce una specifica attività muscolare. La corsa ci mantiene in forma grazie al lavoro aerobico e ci regala al contempo un momento per stare da soli con noi stessi e il nostro respiro.
A tutti gli effetti si può considerare la corsa come una forma di concentrazione e forse di meditazione in movimento.
Non solo. È ormai risaputo che la corsa stimola la secrezione di endorfine, gli ormoni del benessere. E la finalità dello yoga non è forse quella di stare bene e prendersi cura di sé?
Running Yoga
Chi ama correre lo sa. Troviamo il luogo, il momento buono per noi, l’abbigliamento comodo e possiamo iniziare a sentirci bene.
Usciamo dai nostri impegni ed entriamo nella libertà di poter stare con noi stessi.
Un momento solo nostro in cui lasciar emergere liberamente percezioni e sensazioni, immagini, ricordi che creano ogni volta un nuovo spazio di ascolto.
Una completa immersione in una condizione di crescente leggerezza mentale in cui stare nel corpo, nell’incedere sulla terra a ritmo del cuore.
Ogni nuovo movimento ci permette di armonizzare corpo e respiro, ogni passo è un tocco vitale che ci riconnette alla nostra interiorità sopita.
E il nostro correre diventa a tutti gli effetti una forma di pratica sottile.
Se nella corsa sembra prevalere l’aspetto motorio, con lo yoga (in particolar modo lo yin yoga) si scende sul piano della connessione interna. Con lo yoga diminuiscono le tensioni articolari e muscolari per cui il movimento durante la corsa sarà più libero e fluido.
Si tratta di un lavoro in sinergia con tutte le diverse parti di noi. Se sei un/a runner appassionato/a, sappi che non ti sto invitando ad appendere le scarpe al chiodo. Al contrario, se ami la corsa e non hai mai pensato di dedicarti alla pratica devi sapere che lo yoga potrebbe essere un’esperienza utile e dal comprovato valore integrativo.
I momenti dedicati alla corsa potrebbero diventare un’occasione per migliorare il tuo ascolto, un’opportunità di conoscerti meglio e un modo nuovo di stare nel fare. Con le sue posizioni specifiche lo yoga ti può accompagnare in questo tanto da diventare, come spesso accade, una pratica efficace e complementare alla corsa.
La combinazione corsa e yoga infatti concentra i benefici di entrambe le esperienze.
Con la corsa viene favorito un miglioramento a livello cardiaco e muscolare, con lo yoga si facilita distensione e resistenza, rilascio di endorfine e concentrazione in un caso e rilassamento e presenza dall’altro. L’unione delle due pratiche comporta benefici in termini di flessibilità. Infatti lo yoga consente di sciogliere tensioni, non solo fisiche, attraverso un costante ascolto anche del corpo.
Una maggiore conoscenza e padronanza del proprio respiro inoltre permette un risparmio energetico non indifferente, consente di aumentare la propria resistenza e favorisce una maggior facilità a mantenere la giusta concentrazione nel movimento e anche nell’affrontare le sfide della vita quotidiana.
Yoga e Nascita, come iniziare?
Ogni fase dell’attesa ha qualità ed esigenze diverse per cui quella che propongo è una pratica adatta ad ogni periodo della gravidanza e il più possibile vicina alla specifica unicità di ogni singola realtà.
Il primo trimestre è caratterizzato dal cambiamento più profondo, tutto si ricalibra e riorganizza in funzione della nuova Vita che si manifesta. In questo caso la pratica è la più gentile dei nove mesi perché volta ad accogliere il momento iniziale con la dovuta delicatezza. È la fase in cui dare maggiore spazio all’ascolto, in cui fermarsi a respirare e meditare, ad accogliere emozioni e pensieri. Con il secondo trimestre la donna inizia a fiorire e a sentirsi più energica così come la creatura che porta in grembo comincia a crescere e a diventare più forte. Questo è il periodo in cui ammorbidire e rafforzare maggiormente le aree della schiena, delle gambe e del bacino per andare a supportare al meglio le ulteriori fasi della gravidanza, nonché il momento del parto. L’ultima fase poi corrisponde al momento più vicino alla nascita, quando ci si può concentrare sulla respirazione e sulle visualizzazioni. In questo ultimo trimestre la mia attenzione è volta a favorire pratiche destinate a migliorare la circolazione sanguigna e a mantenere delicatamente attiva la muscolatura utile al travaglio.
Oltre ad un’attenta considerazione delle diverse fasi della gravidanza e delle particolari e specifiche accortezze richieste dal singolo caso, come nella pratica in generale così anche nella pratica in gravidanza, elemento cardine della nostra esperienza insieme rimane il principio di autoregolazione.
Si tratta di un punto fondamentale che permette ad ognuno di imparare ad ascoltare e assecondare il proprio sentire, ciò che il corpo richiede in ogni diverso momento, sul tappetino e nella vita, e che durante la gravidanza si traduce in un ulteriore elemento di conoscenza e in un aspetto imprescindibile per la buona riuscita della nostra pratica condivisa. In questo modo ogni qui ed ora diventa un nuovo sentire, ogni pratica un’occasione di riconoscersi nel proprio essere naturale.
Ogni esperienza diviene un contatto sempre più autentico, ogni volta ti puoi avvicinare con fiducia alla nascita, ad ogni passo ti puoi accordare con il Cosmo accogliendo la Vita che ti viene incontro.
Yoga e Nascita, quando incominciare?
Ogni momento può essere il momento giusto per iniziare ad ascoltarsi, a conoscersi, a prendersi cura di sé e per iniziare la propria pratica.
Qualsiasi momento della gravidanza lo è ancora di più. In ogni sua fase lo yoga può essere un’occasione preziosa per seguire il proprio sentire nel corpo, per assecondare il naturale processo della creazione che ha tanto da rivelare in un periodo così ricco e intenso nella vita di ogni famiglia.
L’area dell’utero è il centro della spiritualità femminile, è la sede delle nostre energie cosmiche e lo yoga, come strumento creativo di scoperta di sé, durante la gravidanza si manifesta in tutta la sua potenziale completezza. Se in generale la pratica ci riporta al nostro centro, alla vera natura dell’esistenza e ci permette di entrare in un contatto più diretto con la vibrazione della Vita, lo yoga in gravidanza ne rappresenta l’espressione più alta e profonda. Sento la pratica in gravidanza come l’opportunità di sperimentare la nostra connessione originale con le dinamiche sottili dell’Universo che richiamano dal Cielo, come l’occasione di ricontattare il nutrimento radicato della Terra e di riconoscere il potere naturale delle nostre capacità innate. Quella della gravidanza è una dimensione straordinaria che possiamo riscoprire ed assaporare grazie ad una pratica dedicata che armonizza ogni parte di noi attraverso una dolce esplorazione del continuo flusso energetico di trasformazione ed evoluzione.
Durante i mesi dell’attesa entrambi i genitori hanno la possibilità di avvicinarsi alla qualità luminosa del divenire cosmico e non solo attraverso l’esperienza della nascita di un figlio, ma anche attraverso la propria rinascita, e attraverso l’esperienza della pura manifestazione appassionata della Vita.
La madre la sente muoversi dall’interno, in quell’istinto arcaico del dare la Vita e il padre può ascoltarla da vicino, tanto da poterla sentire e vivere. Per entrambi i genitori la pratica condivisa diventa un modo per instaurare un nuovo e autentico approccio al mondo, per rafforzare ed arricchire il loro rapporto e per iniziare la propria relazione d’amore con la creatura che si sta rivelando.
NASCITA, RISVEGLIO e RICORDO
Sento di poter dire che lo yoga durante la gravidanza favorisce il risveglio e il ricordo.
Il risveglio di una consapevolezza innata e naturale che riporta alla propria autentica competenza e il ricordo di un sistema più umano di quello in cui viviamo oggi.
Emerge spontaneo il desiderio di rinascere, di riscoprire la propria vera natura e di dare vita ad un mondo diverso, ad un sistema naturale ed equo in cui tutti si sentano bambini desiderati e considerati nella loro piena completezza.
Il SUONO del SILENZIO
Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del mare, il silenzio dei boschi prima che sorga il vento di primavera. Il silenzio di un grande amore, il silenzio di una profonda pace dell’anima.
Edgar Lee Masters
Ognuno di noi ha riconosciuto in qualche momento della vita la qualità del silenzio. Immersi nell’acqua, rapiti dalla bellezza di un momento, da un suono nutriente o semplicemente trovandoci in uno stato di presenza piena, tutti abbiamo sentito come il silenzio ci accoglie, conforta e nutre ogni parte di noi.
Rigenera il corpo, calma la mente e apre il cuore.
La scienza ha ormai dimostrato che il rumore ha effetti significativi sul nostro stato di benessere. Il rumore da cui siamo costantemente circondati nella realtà quotidiana aumenta la produzione di ormoni dello stress e questo va a limitare la nostra creatività, la connessione con noi stessi e la nostra fluidità mentale.
Ma se il rumore crea stress, il silenzio lo allevia e lo fa sciogliendo tensioni fisiche e mentali. E’ stato di recente dimostrato che il silenzio reintegra le nostre capacità cognitive. Il silenzio ristabilisce ciò che il rumore costante danneggia.
La vita moderna ci richiede di processare enormi quantità di informazioni quasi senza poterci prendere pause. I continui input esterni, la costante richiesta di attenzione e di elaborazione di informazioni porta il nostro sistema in sovraccarico. Prendersi una pausa, recuperare spazio di ascolto, passare del tempo da soli e in silenzio ci aiuta a ritrovarci e a recuperare il nostro centro.
Lo Yoga da millenni lo sa, il silenzio cura. Esso ci conduce a livelli di interiorità profonda, armonizza il nostro intero essere ed ora anche la scienza lo conferma.
E non è un caso che pratiche antiche come lo yoga e la meditazione, che si fondano sul silenzio, invitino ad un ascolto ripetuto nel tempo. Del resto, facendo spazio alla voce del silenzio potremmo sentire tanto di ciò che normalmente non udiamo, potremmo percepire qualcosa di noi che prima non avevamo la possibilità di cogliere. Più ci soffermiamo a dedicarci momenti di silenzio, anche per pochi minuti magari ripetuti nell’arco della giornata, maggiore sarà la nostra generale propensione all’ascolto di noi stessi, degli altri, di ciò che ci accade intorno e molteplici saranno i benefici anche in termini di presenza diffusa e consapevolezza crescente.
A questo proposito mi ha colpito in questi giorni la domanda di chi mi ha chiesto se davvero vale la pena di praticare un ascolto di sé profondo. Nel senso che forse sarebbe più semplice vivere in superficie, lasciando che tante cose rimangano sconosciute per evitare di imbattersi alle volte in qualcosa che ci crea disagio o possibile sofferenza. Ed è una domanda che mi sono posta nel tempo e che ogni volta mi aiuta a soffermarmi su alcuni elementi della pratica in generale ma in particolare su quella del silenzio. Naturalmente ogni silenzio è diverso e la scelta o forse la sfida di dedicarsi un tipo di attenzione profonda, come quella del silenzio, rimane argomento libero e del tutto personale. Ma riflettevo sul fatto che forse siamo abituati ad approcciare al silenzio come a qualcosa di totalmente sconosciuto, come a una dimensione di vuoto che potrebbe evocare inquietudine.
Se invece iniziassimo a guardare al silenzio come a un luogo nostro e pieno in cui riuscire di volta in volta a ritrovare qualcosa in più di noi? Ad avere qualche informazione nuova e forse preziosa sul nostro essere?
Di certo il silenzio lascia parlare ogni parte di noi, lascia spazio a divisioni, contraddizioni, difficoltà che spesso ci spaventano e scoraggiano. Ma nello stesso silenzio spesso riusciamo ad incontrare spiragli di unione, di integrità e semplicità autentica. Il mio silenzio lascia emergere indistintamente il rumore della sofferenza, il brulicare delle voci inascoltate, il potere del mio suono puro e il canto delle mie passioni. Per me il silenzio è uno spazio denso. È un luogo che più ricopro di attenzione meno mi spaventa. È un sentire che si approfondisce nel mio suono e diventa un suono sempre più colmo di me.
Se oggi qualcuno mi chiedesse di definire la qualità del silenzio in una parola non avrei dubbi a scegliere il termine ricchezza. E parlerei di ricchezza non solo perché nel silenzio c’è tanto di noi ma anche perché tutto ciò che accogliamo nel silenzio con un intento amorevole si trasforma in una risorsa di conoscenza e cura che sento inestimabile.
PRESENZA, ASCOLTO e SILENZIO

Per liberarci da false credenze e meccanismi di difesa potremmo avere bisogno di gentile presenza, ascolto amorevole e silenzio.
In ogni momento siamo i soli a poterlo decidere invitando così la mente a collaborare.
Durante la pratica o tra le varie incombenze della nostra giornata possiamo scegliere di dedicarci del tempo di ascolto in cui dare voce alla nostra parte più profonda e autentica.
Ogni volta che l’intenzione è la cura di sé, la presenza diventa un richiamo, l’ascolto si amplifica e il silenzio non può che raccontarci di noi.
YOGA come CRESCITA
Tutto quello che viene compiuto in presenza di un bambino, nell’organismo infantile si trasforma in spirito, anima e corpo.
R. Steiner
Prima della nascita la natura predispone un ambiente adatto alla crescita dell’essere umano. Allo stesso modo sento che dopo la nascita abbia un ruolo fondamentale un’educazione NATURALE che gli garantisca una sana dimensione di sviluppo.
Spesso siamo portati a pensare che i bambini crescano seguendo ciò che gli adulti vorrebbero insegnare a parole, come fosse per loro un’operazione del solo intelletto.
Il bambino invece imita ciò che si svolge nel suo ambiente e tutto il suo essere assume le forme che rispecchia.
Sin dalla nascita egli è aperto alle influenze dell’ambiente circostante, è pervaso dai sensi che lo animano sia nello sviluppo organico che nella acquisizione di qualità interiori. In tal modo il significato di ambiente va considerato nel senso più ampio, ne fa parte infatti tutto ciò che avviene intorno al bambino, tutto ciò che i suoi sensi possono percepire. A partire dallo spazio fisico in cui si trova fino a tutte le azioni che egli vede compiere. Tutto ciò che noi siamo traspare dai nostri gesti e tutto ciò che facciamo in presenza di un bambino continua ad agire in lui.
Questo è ciò che intende Steiner nel sostenere che il bambino è un INTERO ORGANO di SENSO che vive in maniera completa tutto ciò che riflette intorno a sé.
E questo è il motivo per cui nell’accompagnare i più piccoli con lo yoga la mia attenzione si focalizza innanzi tutto sulla loro libertà di ESSERE. Il mio impegno è volto a preservarne una crescita organica e a facilitare e sostenere lo sviluppo delle loro qualità interiori.
Balyayoga, il metodo che utilizzo, si basa su una visione olistica del bambino e su una pratica studiata e realizzata nel rispetto delle particolari caratteristiche psico-fisiche dei più piccoli. Si tratta di un approccio che FACILITA e SOSTIENE volto a valorizzare la creatività di ogni essere quale strumento di libera crescita e sano sviluppo del proprio sé.
Propongo una PRATICA SPONTANEA e INCLUSIVA e utilizzo il linguaggio del gioco come strumento di apprendimento e sviluppo relazionale. Si tratta di una ESPERIENZA NATURALE e divertente che favorisce ASCOLTO e consapevolezza di se stessi e degli altri in una prospettiva più ampia della RELAZIONE con il MONDO circostante.
CUSTODIRE LA NASCITA
L’intimità è un tempio sacro.
La donna è un tempio sacro.
L’uomo è un tempio sacro.
Nel vostro stare insieme la vita diventa preghiera.Bernie Prior
Il femminile è l’energia che crea movimento, crescita e dona forza al maschile generando molteplicità nell’universo.
Lo yoga durante il periodo della gravidanza favorisce la forza creativa, il potere di vedere comprendere e agire che con la pratica accompagna l’energia dinamica del femminile ad esprimersi a pieno nella sua innata libertà e nel suo immenso potere.
YOGA come LASCIARE ANDARE
Lasciare significa lasciare che per un po’ le cose seguano il loro corso, che si muovano liberamente senza il nostro intervento, finché la direzione del loro movimento non si mostri spontaneamente. Se rinunciamo a tentare di guidare le cose e quelle muovendosi si allontanano da noi, lasciamole andare. Molliamo la presa. Se le lasciamo andare per la loro strada ci rendiamo liberi per qualcos’altro.
Bert Hellinger
Se ripenso alle mie difficoltà nella pratica degli inizi e a tutte quelle incontrate nell’arco del tempo mi risulta facile concordare con chi sostiene che il lasciar andare sia il più difficile degli asana. Nella vita di tutti i giorni spesso troviamo qualcosa che ci blocca e che si esprime come una tensione fisica, un pensiero ricorrente che richiama tutta la nostra attenzione o come tanto altro che in qualche modo ci distoglie da noi stessi.
Quando mi trovo in queste situazioni mi accorgo di come lo yoga abbia la qualità di orientarmi efficacemente al momento presente e di come la pratica mi permetta di sperimentare con gentilezza tutto ciò che emerge in me e che incontro al di fuori.
Spesso si ritiene che per migliorarsi in qualcosa si debba intervenire con un lavoro più intenso, con un’attività maggiore. Io invece ogni volta mi accorgo di quanta forza ci sia nella non azione e di come si tratti di un solo apparente approccio passivo alle cose. Sento che offrire energia alla non azione, sia fisica che mentale, significa coltivare un intento specifico e cosciente. Partendo infatti dal corpo posso iniziare ad ascoltare, ad accogliere percezioni, sensazioni piacevoli oppure tensioni e da qui imparare a prendermi cura di me in un processo di consapevolezza che inizia sul tappetino e si sviluppa nei vari ambiti dell’esperienza fino a coinvolgere tutta la vita che mi circonda.
Quando inizio a dedicarmi alle tensioni, a sentirne il significato attraverso cura e attenzione, nel rispetto dei miei tempi, le aiuto a sciogliersi.
Così nella vita di ogni giorno ho la possibilità di soffermarmi a comprendere un’emozione o una situazione per arrivare poi a sentire di poterla lasciare andare. Mi permetto di ascoltare e capire ciò che desidero mantenere per distinguerlo da tutto ciò che voglio liberare. Poco a poco realizzo di avere un potere solo parziale sulle cose, imparo ad apprezzare la mia libertà unita a quella degli altri e al contempo nutro la possibilità di fidarmi dell’esperienza che diventa una preziosa guida. Sento nell’abbandonarsi al corpo un’opportunità di conoscersi e nel lasciare andare una potenzialità costruttiva che vivo come un atto di estrema fiducia nella natura nascosta delle cose. Lo propongo come un punto di partenza e ripartenza costante perché ne apprezzo l’energia che vibra di libertà in cui so di poter indugiare ad occuparmi di me in qualsiasi momento. Spesso ne percepisco la fatica perché si tratta di un lavoro profondo che richiede dedizione e costanza. Ma ogni volta è un nuovo pezzetto di me che si rivela e fiorisce.
Credo che lasciar andare significhi diventare audaci, avere il cuore di scoprire la vita che si svela di fronte a noi e il coraggio di accoglierla in una condizione di apertura e gioia.
YOGA come NASCITA
Secondo la tradizione yogica il BENESSERE è un ARMONIOSO EQUILIBRIO tra corpo fisico, emozionale, mentale, spirituale e sociale.
I fondamenti della CURA di tutti questi aspetti iniziano prima della NASCITA nelle fasi in cui i genitori avviano e predispongono un sistema familiare e domestico idoneo ad accogliere una creatura che si sviluppa e continua per tutto il ciclo dell’esistenza. E se consideriamo che la nostra famiglia è il primo ambiente che conosciamo e la relazione con i nostri genitori il nostro primo e fondamentale riferimento, diventa naturale avvertire come dal trattamento che riceviamo dipenderà la nostra capacità di prenderci cura di noi stessi e di occuparci degli altri.
Questo è il motivo per cui ho fiducia nell’armonia dei singoli genitori e nelle sue potenzialità volte alla nascita di una famiglia che possa accogliere figli felici e creare un terreno fertile a sostegno di una comunità armonica.
La pratica dello yoga, la meditazione, l’attenzione ad una alimentazione adeguata non sono solo un modo per contribuire positivamente ad accordare l’esperienza fisica ed emotiva di ogni nuova madre, ma sono anche benefiche abitudini familiari. Posture dedicate, consapevolezza del respiro, ascolto e cura di sé, aiutano entrambi i genitori a riappropriarsi dei ritmi salutari della natura e a vivere con maggiore presenza e responsabilità il loro ruolo.
Culturalmente siamo abituati a guardare al nostro corpo come ad un insieme di tante componenti separate. Al contrario la pratica ci insegna ad ascoltarci nel corpo, ad imparare a riconoscere i messaggi che ci manda, a comprendere come stiamo vivendo determinate emozioni e dove queste si manifestano per ritrovarci nell’interezza del nostro sentire. In questa ottica il momento della gravidanza può rivelarsi un’occasione di ascolto e riscoperta di sé, un modo per dedicare la giusta attenzione alla vita che cresce ed anche un’opportunità di creare un ambiente familiare consonante, in quanto unito e riconosciuto in ogni sua parte.
In questa importante esperienza lo yoga si rivela uno strumento efficace per accogliere con naturalezza le emozioni e i cambiamenti nelle varie fasi della gravidanza non solo a sostegno della madre, ma a supporto dell’intero sistema familiare.
Trovare insieme un luogo di ascolto, una condizione di quiete dove celebrare l’incanto della vita in fermento è un modo per coltivare il nostro benessere e quello della nostra famiglia che può trasformarsi o riconfermarsi come entità organica.
Per i genitori si tratta di un tenero viaggio da condividere, di un nuovo dialogo con la vita che prende forma e si evolve in una relazione che coinvolge tutti i membri della famiglia e che diventa sempre più densa fino a confluire in un’unica forza coerente che rende tutti partecipi di una nascita collettiva consapevole e piena di amore.
YOGA come SUONO
Secondo la tradizione yogica la VIBRAZIONE è la forma di vita più originale e primordiale. Il SUONO è materia e ogni parola detta, ogni frase articolata è un mondo in divenire.
La natura ci ha donato risorse adeguate cui poterci affidare per occuparci del nostro benessere. Come il respiro ci aiuta ad entrare in contatto con il nostro sentire e a prenderci cura di noi, così anche il suono è uno strumento innato di CONOSCENZA e CURA.
Se attraverso il suono e la parola ho la facoltà di creare, mi viene naturale interrogarmi su quanta CONSAPEVOLEZZA ci sia in ciò che esce dalle mie labbra.
Spesso mi sono accorta di avere una coscienza minima o solo parziale di ciò che sto esprimendo e questo è il motivo per cui, alla ricerca di possibili strade per comprendere meglio il mio mondo interiore, ho trovato nello yoga un aiuto concreto e nella pratica del suono una naturale via di contatto e conoscenza.
Lo yoga facilita l’ascolto della nostra VOCE interiore e ci conduce a lasciarla emergere. Attraverso la pratica del suono ci possiamo riconnettere con la libertà di ESSERE chi siamo fino a ricongiungerci al suono comprensivo dell’Universo dove confluire e riconoscersi tutti insieme, ognuno nella unicità della propria esistenza.
Sento infatti che quando la comunicazione diventa più consapevole esprime maggiormente la mia verità, favorisce un miglioramento del mio stato psicofisico e al contempo può incoraggiare una maggior consapevolezza in chi mi circonda.
Se mi apro ad una visione più ampia delle cose, in una prospettiva di insieme in cui ogni essere come singola entità possa ritrovarsi parte di un unico sentire, mi accorgo di come il suono della presenza di ognuno riesca a coinvolgere tutti in una fertile rete creativa che nasce dalla riscoperta di sé, per diventare strumento di comprensione reciproca ed anche un modo di occuparsi degli altri.
Possiamo rendere terapeutico il nostro suono se permettiamo che esso nasca come NUTRIMENTO. Se il suono è materia, per poter nutrire deve essere una forza che parte dal sentire più profondo, dalle vibrazioni del cuore del mondo.
Quando un suono coincide con il nostro vero essere, quando diventa manifestazione di qualcosa che abbiamo nel cuore, può creare una prospettiva limpida di ASCOLTO e AZIONE.
Questa corrispondenza pura tra sentire e agire può favorire il cambiamento e accompagnarci a comprendere come prenderci cura di noi, di chi ci sta accanto e del mondo che ci costruiamo attorno.
Perché il mio blog?
Amo molto la ricchezza dell’insegnamento inteso come scambio continuo. All’interno della mia esperienza sento importante comprendere la natura unica di tutti i soggetti che vi partecipano affinché insegnante e praticanti possano creare insieme ogni nuovo momento del percorso condiviso.