Il fondamento etico dello Yoga

Il saggio illuminato Patañjali, in un’epoca imprecisata tra il III secolo a.C. ed il IV d.C. codificò lo Yoga in un’opera unica nel suo genere, gli Yoga Sûtra. Si tratta di una raccolta di 196 aforismi (sûtra) giunti a noi grazie ad una ininterrotta trasmissione orale da maestro a discepolo che delineano il famoso Ashtânga Yoga, lo yoga degli otto stadi o delle otto membra.

In questo sistema complesso e organizzato si delinea il percorso di otto passaggi, come fossero otto gradini, che il praticante dovrà seguire per ottenere l’illuminazione e la conoscenza della verità celata sotto il velo dell’apparenza.

Quale base e punto di partenza per una comprensione completa di questo cammino incontriamo Yama e Niyama, le astensioni e le osservanze da considerarsi come il fondamento etico dell’Ashtânga Yoga che si sviluppa, oltre ai due anga appena citati, in Āsana, Prânâyâma, Pratyâhâra, Dhârâna, Dhyâna e Samâdhi. Lo studio e l’esperienza di Yama e Niyama riescono a coinvolgere in maniera sempre più profonda ogni praticante accompagnandolo verso una presa di coscienza di sé e del proprio ruolo all’interno della magica esperienza umana cui fa da sfondo l’intero Universo.

gradini

Gli Yama sono cinque precetti da seguire per ritrovarsi in armonia con gli altri e con tutto ciò che ci circonda.

• Il primo, Ahimsâ, è la non violenza intesa come atteggiamento diffuso rispetto a tutto ciò che in qualche modo può ferire, e non solo in termini di violenza fisica. Si tratta di tornare a contattare una sensibilità naturale che a volte, in preda alla sofferenza, dimentichiamo e che ci permette di cogliere la verità di un approccio amorevole che rispetti la natura autentica di ogni cosa senza considerare di poterla modificare o prevaricare.

• Il secondo yama, Satya, è la verità intesa come sintonia tra i pensieri, le parole, i nostri sentimenti e talenti, le azioni e le scelte che quotidianamente operiamo. Si tratta di trovare la nostra integrità in ogni momento ed in ogni situazione per poterci mantenere in armonia con noi stessi e con gli altri.

• Il terzo è Asteya, l’onestà. Spesso tradotto come “non rubare” esso non riguarda solo l’aspetto pratico del desiderare qualcosa che non si ha o non si può avere, ma viene coinvolto anche il piano spirituale ed emotivo. Si potrebbe forse considerare come una sana presa di coscienza del fatto di avere già naturalmente in noi tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

• Il quarto yama è Brahamacharya, la continenza. È la purezza nelle parole, nel sentire e nell’agire il nostro pensiero che si traduce in una vita sessuale equilibrata e in generale nel vedere amore (Brahma) in ogni cosa, perché ogni nostra azione o esperienza possa essere un atto sacro.

• Il quinto ed ultimo yama, Aparigraha, è la non avidità, ovvero un invito a liberarsi dal vano desiderio di possedere. Si potrebbe vedere come un invito ad uscire dall’illusione del possesso e a scoprire lo stato di non attaccamento grazie ad una rinnovata consapevolezza del nostro semplice viaggio che ci accomuna nell’esperienza terrena.

Anche i Niyama sono cinque e possiamo considerarli come comportamenti e atteggiamenti da coltivare per poter vivere in completa armonia con noi stessi e con la nostra natura più intima.

• Il primo è Sauca, la purezza intesa come pulizia interiore ed esteriore. Un salutare prendersi cura di sé finalizzato ad un benessere complessivo e relativo al corpo, alla mente e allo spirito.

• Samtosa è la contentezza, quella serenità interiore che deriva dall’essere soddisfatti di ciò che semplicemente è. Un appagamento costante, una sana e gioiosa predisposizione del cuore da condividere e diffondere.

• Il terzo Niyama è Tapas, l’austerità intesa come il fuoco interiore che arde nel profondo di ogni praticante determinato, di ogni esploratore della propria spiritualità e che lo accompagna a fortificare il corpo e a sviluppare tenacia e consapevolezza.

• Svâdhyâya, il quarto Niyama, è lo studio di sé. È importante per ogni praticante lo studio delle scritture sacre ma è fondamentale una costante pratica introspettiva di autoanalisi che conduca ad una sempre più approfondita consapevolezza di sé.

• E infine Îsvara Pranidhâna è l’abbandono senza riserve, un lasciar andare il bisogno di soddisfare desideri legati all’esperienza terrena, un mollare la presa per potersi affidare all’immateriale e alle verità più elevate.