Il fondamento etico dello Yoga

Il saggio illuminato Patañjali, in un’epoca imprecisata tra il III secolo a.C. ed il IV d.C. codificò lo Yoga in un’opera unica nel suo genere, gli Yoga Sûtra. Si tratta di una raccolta di 196 aforismi (sûtra) giunti a noi grazie ad una ininterrotta trasmissione orale da maestro a discepolo che delineano il famoso Ashtânga Yoga, lo yoga degli otto stadi o delle otto membra.

In questo sistema complesso e organizzato si delinea il percorso di otto passaggi, come fossero otto gradini, che il praticante dovrà seguire per ottenere l’illuminazione e la conoscenza della verità celata sotto il velo dell’apparenza.

Quale base e punto di partenza per una comprensione completa di questo cammino incontriamo Yama e Niyama, le astensioni e le osservanze da considerarsi come il fondamento etico dell’Ashtânga Yoga che si sviluppa, oltre ai due anga appena citati, in Āsana, Prânâyâma, Pratyâhâra, Dhârâna, Dhyâna e Samâdhi. Lo studio e l’esperienza di Yama e Niyama riescono a coinvolgere in maniera sempre più profonda ogni praticante accompagnandolo verso una presa di coscienza di sé e del proprio ruolo all’interno della magica esperienza umana cui fa da sfondo l’intero Universo.

gradini

Gli Yama sono cinque precetti da seguire per ritrovarsi in armonia con gli altri e con tutto ciò che ci circonda.

• Il primo, Ahimsâ, è la non violenza intesa come atteggiamento diffuso rispetto a tutto ciò che in qualche modo può ferire, e non solo in termini di violenza fisica. Si tratta di tornare a contattare una sensibilità naturale che a volte, in preda alla sofferenza, dimentichiamo e che ci permette di cogliere la verità di un approccio amorevole che rispetti la natura autentica di ogni cosa senza considerare di poterla modificare o prevaricare.

• Il secondo yama, Satya, è la verità intesa come sintonia tra i pensieri, le parole, i nostri sentimenti e talenti, le azioni e le scelte che quotidianamente operiamo. Si tratta di trovare la nostra integrità in ogni momento ed in ogni situazione per poterci mantenere in armonia con noi stessi e con gli altri.

• Il terzo è Asteya, l’onestà. Spesso tradotto come “non rubare” esso non riguarda solo l’aspetto pratico del desiderare qualcosa che non si ha o non si può avere, ma viene coinvolto anche il piano spirituale ed emotivo. Si potrebbe forse considerare come una sana presa di coscienza del fatto di avere già naturalmente in noi tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

• Il quarto yama è Brahamacharya, la continenza. È la purezza nelle parole, nel sentire e nell’agire il nostro pensiero che si traduce in una vita sessuale equilibrata e in generale nel vedere amore (Brahma) in ogni cosa, perché ogni nostra azione o esperienza possa essere un atto sacro.

• Il quinto ed ultimo yama, Aparigraha, è la non avidità, ovvero un invito a liberarsi dal vano desiderio di possedere. Si potrebbe vedere come un invito ad uscire dall’illusione del possesso e a scoprire lo stato di non attaccamento grazie ad una rinnovata consapevolezza del nostro semplice viaggio che ci accomuna nell’esperienza terrena.

Anche i Niyama sono cinque e possiamo considerarli come comportamenti e atteggiamenti da coltivare per poter vivere in completa armonia con noi stessi e con la nostra natura più intima.

• Il primo è Sauca, la purezza intesa come pulizia interiore ed esteriore. Un salutare prendersi cura di sé finalizzato ad un benessere complessivo e relativo al corpo, alla mente e allo spirito.

• Samtosa è la contentezza, quella serenità interiore che deriva dall’essere soddisfatti di ciò che semplicemente è. Un appagamento costante, una sana e gioiosa predisposizione del cuore da condividere e diffondere.

• Il terzo Niyama è Tapas, l’austerità intesa come il fuoco interiore che arde nel profondo di ogni praticante determinato, di ogni esploratore della propria spiritualità e che lo accompagna a fortificare il corpo e a sviluppare tenacia e consapevolezza.

• Svâdhyâya, il quarto Niyama, è lo studio di sé. È importante per ogni praticante lo studio delle scritture sacre ma è fondamentale una costante pratica introspettiva di autoanalisi che conduca ad una sempre più approfondita consapevolezza di sé.

• E infine Îsvara Pranidhâna è l’abbandono senza riserve, un lasciar andare il bisogno di soddisfare desideri legati all’esperienza terrena, un mollare la presa per potersi affidare all’immateriale e alle verità più elevate.

La voce del Cuore

Essere genitori, educatori, è un compito spesso faticoso che richiede un impegno fisico ma soprattutto una costante presenza a livello emotivo e mentale. 

Come definire ciò che è giusto per noi e per i nostri bambini?

Credo che nessuno abbia la verità in tasca, ma sento che alcuni punti meritano una riflessione. Ad esempio spesso mi soffermo a ricordare che l’educazione è un processo naturale del bambino che avviene attraverso la sua esperienza in un ambiente in cui si può esprimere. E sento che, in questo, l’ascolto diventa un momento fondamentale. Il bambino necessita di essere accolto nei suoi bisogni ma comprende il linguaggio dell’esperienza più di quello delle parole, per cui se abbiamo l’impressione di non essere ascoltati, proviamo ad ascoltarlo. 

vocedelcuore

Alzare la voce per farsi ascoltare è una tentazione che tutti conosciamo e spesso ci cadiamo senza accorgerci che gridare non solo non educa, ma chiude ogni comunicazione e lentamente inibisce una relazione sana e costruttiva. Senza dimenticare che un bambino interpreta le grida come un’espressione di odio e se a lui ci rivolgiamo in questo modo, in fondo si sentirà respinto, non amato. 

L’atto di gridare ha uno scopo ben preciso nella nostra specie come in tutte le altre. Gridare significa pericolo, rischio. Il nostro sistema di allarme si attiva producendo cortisolo, l’ormone della paura, che ci induce fisicamente e biologicamente a fuggire o a lottare. Se comunemente utilizziamo le urla come strategia educativa possiamo immaginare quanto, a livello emotivo, possa essere dannosa una condizione di continuo stress e allarme.

Di certo è impegnativo imparare a comunicare con un bambino ma, se lo facciamo, eviteremo di rendere sordo il suo sentire.

Guidare e sostenere con autorevolezza e senza ricorrere alle urla avrà un impatto positivo sullo sviluppo della sua personalità perché ci permette di prenderci cura del suo mondo emotivo, di alimentare la sua autostima e di mostrargli che una comunicazione efficace si basa su ascolto, comprensione e connessione. 

Ogni volta che stiamo per alzare la voce diamoci la possibilità di fare un passo indietro. Prendiamoci qualche respiro per sentire dove siamo, cosa ci sta innescando quella reazione, dove nasce. La sua causa è davvero da ricercare al di fuori di noi? Oppure siamo forse stanchi, mentalmente carichi, emotivamente provati dalle nostre umane battaglie? In questi casi sento che perdere il controllo non significa solo perdersi ma molto di più. Se abbiamo un bimbo di fronte vuol dire perdere una preziosa opportunità di comprendere cosa gli sta accadendo, cosa sente. Perché c’è sempre un motivo dietro un comportamento o una situazione e comprenderlo può solo facilitare un reciproco e fruttuoso dialogo.         

Per quanto possibile, tra le grandi difficoltà dei nostri tempi che tutti ben conosciamo, impariamo ad ascoltarci per poter offrire la giusta attenzione anche ai nostri bimbi. Regaliamoci in famiglia la condivisione di un tempo di qualità, poniamoci come figure di supporto incondizionato per i nostri piccoli.

Proviamo ad abbassare il volume della voce per ascoltare meglio il nostro cuore.

LA GRANDE MADRE

In ognuno di noi, donne e uomini, vive la Grande Madre. 

L’archetipo della naturale forza del femminile che trascende la mente e l’azione, la matrice della protezione benevola che nel buio invisibile del sentire favorisce fecondità, nutrimento, crescita, trasformazione e rinascita. 

La Grande Madre è l’origine, la creatività del grembo materno che nelle società matrilineari si manifestava nella Natura e nella Madre Terra. Si esprimeva nei sentimenti di condivisione, relazione e pace e si è andata man mano rivelando in noi anche come consapevolezza amorevole, come elemento di comprensione e compassione in onore del quale il nostro bene diventa quello degli altri e quello degli altri il nostro. 

grandemadre.png

È la sua essenza ciò che negli ultimi anni mi sembra stia tornando in superficie ad esprimersi in maniera diffusa sotto forma di connessione con la natura, con un senso di protezione dell’ambiente, e che ci sta riportando lentamente ad una relazione armoniosa con la nostra natura più pura, con tutto ciò che ci circonda e di cui siamo parte. Stiamo gradualmente ritornando ad un’attenzione alla Terra, ad un senso di ecologia profonda che ci accompagna verso scelte più naturali, così come sta accadendo nel campo della alimentazione grazie ad una rinnovata consapevolezza crescente.

In questo modo sento il sacro femminile, come la possibilità di diventare madri del Tutto. Si tratta di un sentire che si traduce nella disponibilità a poter essere madri di ogni cosa al mondo, senza alcuna distinzione o separazione. 

Significa ascoltare chi siamo e riconoscerne il valore. Significa ammorbidire il cuore per poter lasciare accadere la vita e permetterle di manifestarsi diventandone onorati custodi.
Essere madri significa aprire e aprirsi, significa costruire, accogliere la vita e raccoglierne i frutti, significa condividere diventando madre di ogni creatura perché la si sente propria.

Vuol dire dare il meglio di sé, cercarlo ogni giorno e trovarlo in ogni dimensione.

Essere madre significa comprendere e accettare, vuol dire unire, scavalcare muri e accorciare distanze. Significa incontrarsi ed incontrare, ascoltare il proprio spazio vitale ricco di una saggezza antica, pieno di risorse creative naturali e di profonde competenze innate.

Riconoscere e vivere la Grande Madre è celebrare la vita nella sua sapienza e assecondarla nella costante ricerca di una unità spesso inascoltata.

Come si pratica un Asana?

Il termine sanscrito Asana contiene la radice as che riconduce al significato di sedersi, restare, ma anche di essere presenti, celebrare e fare qualcosa in modo costante e senza interruzione. Un ventaglio di sfumature che il termine posizione, che abitualmente lo traduce, non riesce nel complesso a rappresentare…e chi ama la pratica sa quanto un asana sia molto più di una postura. Allora come approcciare al nostro Asana?

Credo che un passo importante sia iniziare a prendere consapevolezza del proprio sentire.

Attraverso una fase di ascolto semplice, non sempre facile, possiamo iniziare a percepire ciò che accade nel corpo. Si tratta di momenti di attenzione amorevole in cui poter accogliere quanto emerge ad ogni livello, sul piano fisico ma anche mentale ed emotivo. È una pratica, che sento basilare, di accettazione profonda alimentata dal nostro silenzio interiore.

Ed è senza dubbio una preziosa occasione di comprendere l’importanza dello stare senza il fare. 

Con una pratica libera e naturale iniziamo a percepire la vitalità del respiro e impariamo ad ascoltare per poterlo seguire ed assecondare. Rimanendo in uno stato di curiosa apertura iniziamo a percepire i nostri blocchi, a risvegliare muscoli dormienti e a rilasciare tensioni diffuse. Grazie al respiro possiamo liberare il corpo dalla memoria che si è consolidata nel tempo dell’esperienza. 

mare 01

Sento questo tipo di attenzione come una qualità fondamentale da coltivare con pazienza e fiduciosa determinazione. Attraverso un impegno fisico graduale ed una premurosa costanza possiamo ridurre al minimo anche il conflitto della postura. Grazie, infatti, ad un’osservazione consapevole il corpo si accomoda in un appoggio morbido, la mente si apre alla conoscenza interiore e le emozioni si sciolgono in un lento e benefico processo di cura di sé.

Possiamo in questo modo sviluppare una sana condizione di presenza, imparare a distinguerla dai momenti di assenza e cominciare ad assaporare il senso di una attenzione volontaria e salutare che ci accompagna anche verso lo stare nel fare.

Potremmo dire allora che un Asana non si fa. Possiamo semplicemente entrare in una posizione con presenza.

Osservare e accogliere apertamente tutto ciò che accade nella sua qualità di esperienza intima e pura e poi uscire dalla posizione con un nuovo sentire, più denso, e con una rinnovata autenticità nel nostro essere. Sperimentare un Asana significa apprezzare la possibilità di percepire quello che sentiamo in ogni momento della pratica per conoscere chi siamo e prenderci cura del nostro benessere. 

Libertà e Amore

Ogni creatura ha in sé la purezza dell’essere, dello stare nel presente senza giudizio, senza alcun desiderio o necessità di dover essere altro di diverso.

 

Ogni nuova vita nasce libera e incondizionata. Ogni nuova vita ha insita la vibrazione naturale della coscienza di sé che la unisce al mondo e questo è ciò che amo riscoprire nel contatto con i bambini e che ogni volta mi fa sentire a casa. Ogni bambino è unico e speciale, ognuno con diversi tempi, modalità e qualità proprie risveglia in me la meraviglia e la naturale essenza del vivere. 

Amo osservare le sfumature del loro manifestarsi e continuo ad ascoltare la loro bellezza, a lasciarmi condurre attraverso viaggi emozionanti verso mondi incantevoli. Con loro amo ritrovarmi in quel sapore intimo di libertà autentica che tutto accorda e comprende.

Durante i nostri incontri amo partecipare giorno dopo giorno di ogni piccola conquista e dedicarmi alla nostra pratica insieme affinché ognuno di loro possa seguire un processo di sviluppo il più naturale e armonioso possibile. 

Sto volutamente ripetendo il verbo amare perché sento che volermi relazionare con i bambini in maniera efficace significa amarli. Si dice che è possibile amare qualcuno soltanto desiderandone la piena e libera manifestazione. E per me, il fatto di poter partecipare di tutto questo è l’aspetto più bello dell’amore. 

Dunque non posso che assecondare il cammino dei più piccoli assicurando loro un nutrimento consapevole. Amare i nostri bambini nella loro libertà di fiorire è la via per accompagnarli verso un sano sviluppo. 

La sento come la giusta dimensione per loro e come un’opportunità unica per noi adulti. Si tratta della preziosa occasione di poter ricontattare la nostra autentica libertà di essere e, una volta ritrovata, poterla garantire loro. 

kalpayoga fotomani

Perché, in realtà, si tratta della stessa libertà che ci permette di ascoltarci nel profondo e riconoscerci nella sola vibrazione universale che anima ogni cosa. È la stessa libertà che ci consente di prenderci cura di noi per poter vedere ogni altro essere. È la condizione di naturale amorevolezza che unisce lo sguardo di ogni creatura.

Siamo noi adulti ad avere la possibilità di continuare a scegliere la nostra unicità, a coltivare la nostra libertà e quella dei nostri piccoli e sento fondamentale la responsabilità di questa scelta.

Yogic Running

yoga running 01.png

Ciò che amo osservare nella corsa è il suo modo di rappresentare la vita. 

Abbiamo la possibilità di scegliere molti aspetti del correre e soprattutto la facoltà di dedicarvi energie in funzione del nostro stare bene. Decidiamo il momento più opportuno, il tempo che ogni volta gli vogliamo e possiamo dedicare.

A volte scegliamo un percorso e altre lasciamo che sia lui a condurci. 

Lungo il tragitto troviamo una rete di strade, bivi, salite, discese, a volte ostacoli. Incontriamo persone, situazioni e viviamo un costante movimento di molteplici esperienze che colorano la nostra esistenza di sfumature che ognuno di noi può utilizzare per modellare e trovare la propria forma interiore. 

Ad esempio nell’incontrare un ostacolo possiamo decidere di evitarlo velocemente per non perdere il ritmo, ma il sollievo immediato che ne deriva a volte ci lascia come in sospeso, come se il non vissuto rivelasse poi un certo disagio. Possiamo affrontare le cose prendendo le giuste misure del caso, valutando sul momento e sentendoci comunque aderire in qualche modo al nostro sentire. Oppure possiamo restare e soffermarci. In qualunque caso abbiamo la possibilità di fermarci ad osservare. 

L’aspetto che amo di più di queste pause è che lo possiamo fare anche a posteriori, in un successivo momento dedicato ad un ascolto senza giudizio. Possiamo fermarci ad accogliere ciò che emerge nel nostro intimo, in quella stessa situazione o a distanza di tempo, per sentire meglio e scegliere come procedere con nuova consapevolezza.

Non si tratta di bloccare i nostri passi in ogni momento, ad ogni minima sollecitazione, tantomeno di evitare l’ascolto della nostra voce interiore più istintuale, quella che spesso ci aiuta a risolvere velocemente una situazione improvvisa. Quello che colgo in questo muoversi sempre più consapevole è piuttosto un invito a percepire con gentile costanza la possibilità di poterci avvicinare alla nostra verità.

Significa aprirsi alla possibilità di sintonizzare sempre meglio il fare con il sentire. Ed io sento questo come un punto di passaggio importante e come il vero punto di incontro tra yoga e corsa. 

Se sei come me un/a entusiasta praticante ma magari stai tralasciando le attività motorie come la corsa, sappi che si tratta di attività complementari. Molti sono i punti a favore di una pratica integrata che unisce i benefici di entrambi i tipi di esperienza.

Spesso in ambito yogico si guarda alle attività più fisiche come a qualcosa di lontano dal puro sentire l’esperienza. E con questa mia riflessione non intendo spingerti ad accantonare il tappetino ma invitarti a considerare gli aspetti positivi di un tipo di attività che non solo potrebbe rivelare la sua utilità, ma anche dimostrarsi un tipo di esperienza del tutto affine alla tua pratica.

Sento il correre come una possibilità di stare nel fare, come un’ulteriore opportunità di vivere lo yoga nel quotidiano e con l’aggiunta di diversi effetti benefici. La corsa stimola infatti il nostro apparato cardio-circolatorio e favorisce una specifica attività muscolare. La corsa ci mantiene in forma grazie al lavoro aerobico e ci regala al contempo un momento per stare da soli con noi stessi e il nostro respiro.

A tutti gli effetti si può considerare la corsa come una forma di concentrazione e forse di meditazione in movimento.

Non solo. È ormai risaputo che la corsa stimola la secrezione di endorfine, gli ormoni del benessere. E la finalità dello yoga non è forse quella di stare bene e prendersi cura di sé? 

Running Yoga  

Chi ama correre lo sa. Troviamo il luogo, il momento buono per noi, l’abbigliamento comodo e possiamo iniziare a sentirci bene. 

Usciamo dai nostri impegni ed entriamo nella libertà di poter stare con noi stessi. 

Un momento solo nostro in cui lasciar emergere liberamente percezioni e sensazioni, immagini, ricordi che creano ogni volta un nuovo spazio di ascolto.

Una completa immersione in una condizione di crescente leggerezza mentale in cui stare nel corpo, nell’incedere sulla terra a ritmo del cuore. 

Ogni nuovo movimento ci permette di armonizzare corpo e respiro, ogni passo è un tocco vitale che ci riconnette alla nostra interiorità sopita. 

E il nostro correre diventa a tutti gli effetti una forma di pratica sottile. 

Se nella corsa sembra prevalere l’aspetto motorio, con lo yoga (in particolar modo lo yin yoga) si scende sul piano della connessione interna. Con lo yoga diminuiscono le tensioni articolari e muscolari per cui il movimento durante la corsa sarà più libero e fluido.

Si tratta di un lavoro in sinergia con tutte le diverse parti di noi. Se sei un/a runner appassionato/a, sappi che non ti sto invitando ad appendere le scarpe al chiodo. Al contrario, se ami la corsa e non hai mai pensato di dedicarti alla pratica devi sapere che lo yoga potrebbe essere un’esperienza utile e dal comprovato valore integrativo.

yoga come movimento.png

I momenti dedicati alla corsa potrebbero diventare un’occasione per migliorare il tuo ascolto, un’opportunità di conoscerti meglio e un modo nuovo di stare nel fare. Con le sue posizioni specifiche lo yoga ti può accompagnare in questo tanto da diventare, come spesso accade, una pratica efficace e complementare alla corsa.


La combinazione corsa e yoga infatti concentra i benefici di entrambe le esperienze.


Con la corsa viene favorito un miglioramento a livello cardiaco e muscolare, con lo yoga si facilita distensione e resistenza, rilascio di endorfine e concentrazione in un caso e rilassamento e presenza dall’altro. L’unione delle due pratiche comporta benefici in termini di flessibilità. Infatti lo yoga consente di sciogliere tensioni, non solo fisiche, attraverso un costante ascolto anche del corpo.

Una maggiore conoscenza e padronanza del proprio respiro inoltre permette un risparmio energetico non indifferente, consente di aumentare la propria resistenza e favorisce una maggior facilità a mantenere la giusta concentrazione nel movimento e anche nell’affrontare le sfide della vita quotidiana.

Il SUONO del SILENZIO

Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del mare, il silenzio dei boschi prima che sorga il vento di primavera. Il silenzio di un grande amore, il silenzio di una profonda pace dell’anima.

Edgar Lee Masters

Ognuno di noi ha riconosciuto in qualche momento della vita la qualità del silenzio. Immersi nell’acqua, rapiti dalla bellezza di un momento, da un suono nutriente o semplicemente trovandoci in uno stato di presenza piena, tutti abbiamo sentito come il silenzio ci accoglie, conforta e nutre ogni parte di noi.

Rigenera il corpo, calma la mente e apre il cuore.

La scienza ha ormai dimostrato che il rumore ha effetti significativi sul nostro stato di benessere. Il rumore da cui siamo costantemente circondati nella realtà quotidiana aumenta la produzione di ormoni dello stress e questo va a limitare la nostra creatività, la connessione con noi stessi e la nostra fluidità mentale.

Ma se il rumore crea stress, il silenzio lo allevia e lo fa sciogliendo tensioni fisiche e mentali. E’ stato di recente dimostrato che il silenzio reintegra le nostre capacità cognitive. Il silenzio ristabilisce ciò che il rumore costante danneggia. 

La vita moderna ci richiede di processare enormi quantità di informazioni quasi senza poterci prendere pause. I continui input esterni, la costante richiesta di attenzione e di elaborazione di informazioni porta il nostro sistema in sovraccarico. Prendersi una pausa, recuperare spazio di ascolto, passare del tempo da soli e in silenzio ci aiuta a ritrovarci e a recuperare il nostro centro.

silenzio.png

Lo Yoga da millenni lo sa, il silenzio cura. Esso ci conduce a livelli di interiorità profonda, armonizza il nostro intero essere ed ora anche la scienza lo conferma.

E non è un caso che pratiche antiche come lo yoga e la meditazione, che si fondano sul silenzio, invitino ad un ascolto ripetuto nel tempo. Del resto, facendo spazio alla voce del silenzio potremmo sentire tanto di ciò che normalmente non udiamo, potremmo percepire qualcosa di noi che prima non avevamo la possibilità di cogliere. Più ci soffermiamo a dedicarci momenti di silenzio, anche per pochi minuti magari ripetuti nell’arco della giornata, maggiore sarà la nostra generale propensione all’ascolto di noi stessi, degli altri, di ciò che ci accade intorno e molteplici saranno i benefici anche in termini di presenza diffusa e consapevolezza crescente.

A questo proposito mi ha colpito in questi giorni la domanda di chi mi ha chiesto se davvero vale la pena di praticare un ascolto di sé profondo. Nel senso che forse sarebbe più semplice vivere in superficie, lasciando che tante cose rimangano sconosciute per evitare di imbattersi alle volte in qualcosa che ci crea disagio o possibile sofferenza. Ed è una domanda che mi sono posta nel tempo e che ogni volta mi aiuta a soffermarmi su alcuni elementi della pratica in generale ma in particolare su quella del silenzio. Naturalmente ogni silenzio è diverso e la scelta o forse la sfida di dedicarsi un tipo di attenzione profonda, come quella del silenzio, rimane argomento libero e del tutto personale. Ma riflettevo sul fatto che forse siamo abituati ad approcciare al silenzio come a qualcosa di totalmente sconosciuto, come a una dimensione di vuoto che potrebbe evocare inquietudine.  

Se invece iniziassimo a guardare al silenzio come a un luogo nostro e pieno in cui riuscire di volta in volta a ritrovare qualcosa in più di noi? Ad avere qualche informazione nuova e forse preziosa sul nostro essere? 

Di certo il silenzio lascia parlare ogni parte di noi, lascia spazio a divisioni, contraddizioni, difficoltà che spesso ci spaventano e scoraggiano. Ma nello stesso silenzio spesso riusciamo ad incontrare spiragli di unione, di integrità e semplicità autentica. Il mio silenzio lascia emergere indistintamente il rumore della sofferenza, il brulicare delle voci inascoltate, il potere del mio suono puro e il canto delle mie passioni. Per me il silenzio è uno spazio denso. È un luogo che più ricopro di attenzione meno mi spaventa. È un sentire che si approfondisce nel mio suono e diventa un suono sempre più colmo di me. 

Se oggi qualcuno mi chiedesse di definire la qualità del silenzio in una parola non avrei dubbi a scegliere il termine ricchezza. E parlerei di ricchezza non solo perché nel silenzio c’è tanto di noi ma anche perché tutto ciò che accogliamo nel silenzio con un intento amorevole si trasforma in una risorsa di conoscenza e cura che sento inestimabile. 

ERRORI ed OCCASIONI

errorioccasioni.png
Hai mai fatto degli errori nella vita?
La risposta più comune che sento è un sì convinto contornato dall’espressione di chi ne ha inanellati una serie.
Se ci focalizziamo a vedere le nostre decisioni come degli errori saremo alimentati dal timore di sbagliare di nuovo.

E se invece ci liberassimo da questo meccanismo?

Se guardassimo le cose da un altro punto di vista e vedessimo in quelli che chiamiamo errori delle occasioni attuali per poterci conoscere meglio e li accettassimo come le scelte che ci hanno portati dove siamo ora, potremmo comprendere maggiormente la nostra esistenza e imparare a decidere in maniera più consapevole?

Il mio Hatha Yoga

Se nella tradizione orale antica lo Yoga consisteva in una pratica di ascetismo e ritiro, con i primi testi scritti di Hatha Yoga (Haṭhayoga Pradīpīka, Gheraṇḍa Saṃhitā e Śiva Saṃhitā) iniziano a comparire le posizioni che ancora oggi utilizziamo, in un’ottica in cui corpo e sensi trovano un loro ruolo fondamentale nella pratica. 

In questo approccio finalizzato ad equilibrare ogni parte di noi si può cogliere come l’Hatha Yoga abbia introdotto una iniziale visione olistica della pratica yogica che diventa esperienza psicofisica non più limitata ad una ricerca da fermi ed in silenzio di conoscenze che oltrepassino corpo e mente. Essa si trasforma, con lo stesso intento, in un invito alla scoperta e all’utilizzo di ogni nostra risorsa. 

Tradizionalmente la funzione dell’Hatha Yoga è quella di accompagnare verso una conoscenza ed un equilibrio sempre più intimi dell’energia cosmica presente nell’uomo (Ha=Sole e Tham=Luna). 

Se ci riflettiamo, al fine di trovare stabilità e presenza sono infatti nati i primi Āsana. Dopo aver armonizzato il corpo sono però emerse le difficoltà relative alla costante attività del pensiero. Per ottenere un ampio spazio di ascolto ed una mente complice sono state introdotte le pratiche relative alla respirazione e si è data più importanza al movimento. Se infatti ci addentriamo nel respiro e ne prendiamo sempre maggiore coscienza, ci accorgiamo che anche la mente lo segue e ad esso si armonizza. Inoltre, quando stiamo nel corpo e nel movimento, con naturalezza invitiamo anche il pensiero a rimanere focalizzato nel momento. 

A questo punto è poi emerso che se allunghiamo il mantenimento di una certa posizione permettiamo al complesso dei benefici descritti di avere un raggio di azione più ampio e di poter raggiungere la nostra interiorità profonda. Quando infine facilitiamo tutto questo con un delicato ritiro dei sensi, allora potremo affidarci ai piani sottili della pratica, fino a trascendere il corpo muovendoci verso l’esperienza della concentrazione e della meditazione. In questo modo l’energia universale riequilibrata al nostro interno può condurci alla vera unione con il tutto, alla connessione totale in cui lo yoga trova il risveglio spirituale e la piena consapevolezza di chi siamo all’interno del Cosmo.

il mio Hatha.png

Alla luce di questi presupposti la pratica che offro si evolve costantemente alla ricerca di flussi energetici universali ed interiori da ascoltare e assecondare. Il mio punto di partenza è il corpo inteso come elemento imprescindibile da accogliere in uno stato di apertura e fiducia.

Il corpo è ciò che abbiamo di più prezioso e immediato per coltivare una relazione con la nostra dimensione interiore e l’Hatha Yoga si nutre dell’osservazione delle percezioni sensoriali che derivano dal suo ascolto.

Quando possiamo abitare il corpo ed entrare in intimità con il nostro respiro, ci sentiamo anche liberi di poterci pienamente ascoltare. Nel mio cammino condiviso propongo Āsana, Ṣaṭkarma, pratiche di Prāṇāyāma, Mantra, Mudrā e Bandha in cui poter armonizzare il nostro essere e poterci ritrovare in una condizione di immobilità e silenzio del tutto familiare e confortevole. Questo è lo stato naturale in cui poterci allineare con la forza intuitiva che ci richiama al non manifesto pur rimanendo partecipi e presenti alla nostra condizione umana di impermanenza.