Se si perde il contatto con la natura, si perde il contatto con l’umanità.
Jiddu Krishnamurti
Perchè MEDITIAMO?
L’ultima volta in cui mi è capitato di chiederlo ad un incontro dedicato ai bambini, una di loro ha risposto: “Perché ci fa brillare”. E il ricordo ricorrente di quel momento di grande emozione mi porta a voler condividere anche qui, per chiudere in bellezza questo anno di pratica insieme, alcune riflessioni sulla meditazione con i più piccoli.
Viviamo un’epoca in cui stiamo sempre più riscoprendo l’importanza del lavoro di ascolto di sè. Ma al di là dell’utilizzo ampio, e ormai diffuso, del termine, sento fondamentale condividere cosa sia la meditazione e quale sia la sua importanza. La pratica che propongo per i bambini è caratterizzata da differenti e graduali occasioni di ascolto. A partire da esperienze di Mindfulness che aprono alla consapevolezza di sé, passando ad un diverso livello di sperimentazione che induce una visione interiore profonda (Meditazione Vipassana) e che sposta l’attenzione dalla superficie verso l’interiorità, fino al passaggio in cui li accompagno nella possibilità di mantenere attivo l’accesso al proprio sé attraverso la Meditazione con il Mantra.
A questo ulteriore passo viviamo insieme una pratica volta alla naturale trascendenza e ad una visione di sé rivolta verso l’Infinito.
Dunque, dopo aver fruito di diversi strumenti funzionali alla Meditazione, arriviamo a viverla appieno grazie alla ripetizione del Mantra, nutriti da un’antica scienza che ci permette di beneficiare di vibrazioni che risuonano in noi e ci aprono ad una comprensione più ampia della nostra esistenza. Meditazione non è quindi un semplice momento di rilassamento o di riflessione. In particolare per i bambini è una pratica che sento di privilegiare per poterli guidare nel loro sentire interiore. Perché proprio i più piccoli, che sono gli esseri spirituali per eccellenza, avendo una completa connessione con il loro livello profondo, possono beneficiarne grazie alla spiccata capacità immaginativa che li contraddistingue.
L’immaginazione è ciò che li mantiene collegati alla loro natura intensamente spirituale e il mio radicato intento è quello di mantenere vivo quel canale attraverso la pratica. Per questo amo accompagnarli nel connettersi al loro spazio di pace e guidarli nel coltivare la loro forza interiore perché la possano riconoscere e custodire come un dono, come una risorsa preziosa da coltivare e alla quale poter attingere in ogni momento della vita.
Affinché possano far coincidere il proprio sé con l’intero macrocosmo e sviluppare una crescente fiducia nelle loro risorse interiori e nella possibilità di sentirsi nel loro centro, al sicuro con se stessi, al di là di ciò che accade intorno.
I benefici che ne derivano sono ormai dimostrati, nonché molteplici, e spaziano dal raggiungimento di un generale stato di rilassamento fisico e mentale, dallo sviluppo della capacità di concentrazione, dal favorire la padronanza dei processi di pensiero, l’attivazione della fantasia e l’introspezione, fino al creare una ricca connessione con la propria interiorità che si riverbera anche in una armonica relazione con il mondo esterno, affinando la capacità di affrontare le difficoltà e sviluppando sensibili abilità di problem solving.
Brillanti meditazioni a tutti e una buona estate!
Innamorarci
Quale ruolo ha l’innamoramento nella tua vita?
Non mi riferisco solo alla possibilità di innamorarci nelle relazioni di affetto, ma anche alle modalità di rapportarci alla vita e così allo yoga. A me capita spesso di domandarmelo quando sono sul tappetino e tende ad affiorare quella condizione di particolare leggerezza e mancanza di scopo tipica dell’innamoramento. Anche quando non mi sento in forma o semplicemente in quel momento avrei bisogno di tempo da dedicare ad altro, accade che con lo yoga mi ritrovo, riconosco il mio sentire nel corpo e mi riscopro innamorata della pratica. E lo stesso avviene quando mi accorgo di avvicinarmi al tappetino aspettandomi qualcosa da quell’esperienza: ogni volta mi rendo conto che, come nella vita, anche per lo yoga non è mai l’amore ad essere difficile e a farmi in qualche modo soffrire, ma sono le mie aspettative ad essere faticose. Proprio come l’amore, anche la pratica è pura apertura che mi nutre, soltanto.
In quale misura l’innamoramento ti permette di oltrepassare i confini delle tue difese?
Sembra che nelle relazioni d’amore emerga una diffusa tendenza ad esporsi, ad uscire dalle zone di comfort e a sciogliere quelli che comunemente vivremmo come limiti. Come sarebbe se riuscissimo davvero a vedere le nostre aspettative come qualcosa di limitante? Me lo chiedo quando nella pratica mi capita di soffermarmi incerta. Scegliere di assecondare una qualsiasi aspettativa, mia o delle persone che accompagno, con il rischio di soddisfarla contenendo però l’esperienza, oppure aprirmi in maniera incondizionata alla pratica di quel momento? Si tratta di una decisione che mi si è ripresentata nel tempo e che ha comportato sempre un importante lavoro di ascolto. Ad oggi sento di poter dire che quando mi è capitato di cedere all’aspettativa ho sempre un pò perso il senso di me e il potenziale della mia pratica. In quei frangenti ho lasciato che fossero i miei timori e le insicurezze ad alimentare aspettative difficoltose e forse impossibili da realizzare. Quando invece ho deciso di ammorbidire i miei confini affidandomi alla sola esperienza, ho sempre riscoperto il mio valore e il significato dello yoga che propongo. Ogni volta in cui mi è stato possibile sciogliere ogni aspettativa ho potuto rinnovare l’amore per l’ascolto che mi offre la pratica.
Ho scoperto che l’amore per la pratica mi permette di fermarmi, liberarmi dal peso dell’aspettativa ed entrare completamente nell’esperienza.
Per questo sento che solo un amore libero per la pratica può rendere possibile un naturale e pieno nutrimento. Se poi facciamo un ulteriore passo e ci soffermiamo un istante a percepirci innamorati, ci rendiamo conto che quando lo siamo non vediamo solo gli aspetti della persona che amiamo, ma possiamo respirare anche tutte quelle sfumature che rappresentano le sue potenzialità. Questo è ciò che accade ogni volta in cui ci innamoriamo di qualcuno ma anche di qualcosa. Proprio come avviene per me con lo yoga quando riesco a viverlo come un modo per potermi prendere cura di me, un’esperienza dopo l’altra, mentre continuo a comprendere chi sono, ma anche a scorgere man mano qualcosa di me che ancora non conosco. Perché l’amore potrebbe essere una fiduciosa apertura alla possibilità, a ciò che al momento esiste anche soltanto in potenza, potrebbe essere un’occasione per affidarci a qualcosa che ancora non sappiamo e che va oltre la realtà presente. Perché forse innamorarci di qualcuno o di qualcosa ci potrebbe aiutare ad intravedere anche chi noi potremmo diventare.
YOGA A MODO MIO
Sento lo yoga come un’esperienza piena che nasce dall’incontro programmato con noi stessi sul tappetino. Ma a volte siamo lì, con l’intenzione di ritrovarci, e questo non accade o non avviene come vorremmo. A volte siamo in difficoltà, viviamo un ascolto interiore faticoso o un’emozione difficile. Mi sento di poter dire che spesso abbiamo aspettative lontane dalla nostra vera natura. Chi si dedica alla pratica con attenzione interiore sa di cosa sto parlando, sa di poter affrontare, grazie allo yoga, un continuo e concreto viaggio, spesso faticoso, attraverso la propria umana esistenza.
Forse si tratta di fare i conti con un certo senso di inadeguatezza.
Con il fatto che probabilmente non siamo abituati a fidarci del nostro sentire. I timori che abbiamo a volte nascono da una mancanza di fiducia in noi stessi e nella nostra capacità di prenderci cura di noi. In questo senso mi rendo sempre più conto di quanto lo yoga oltrepassi di molto la pratica del tappetino e di quanto sia importante tradurre quell’esperienza nella vita quotidiana. Il modo in cui respiro, mi siedo o sto in piedi, come mangio o cammino: ogni aspetto della mia esistenza può diventare yoga.
Viviamo nel mito dello yoga: un mito basato sul giudizio secondo cui una posizione deve essere eseguita in maniera perfetta, per cui il rilassamento è uno stato da perseguire ad ogni costo e la flessibilità una qualità imprescindibile.
Dunque anche nello yoga, come nella vita, ci troviamo costretti a fare i conti con la nostra paura di non essere abbastanza. Affrontiamo la pratica con grandi aspettative, come quella di imparare a riprodurre le posizioni acrobatiche che oggi vediamo pubblicizzate ovunque o quella di riuscire a controllare corpo e respiro secondo particolari dettami, senza però lasciare spazio all’ascolto di ogni prezioso momento dell’esperienza yogica. E così rendiamo il tappetino un campo di battaglia. A volte ci sembra di vincere, e raggiungere soddisfatti i nostri sperati obiettivi, altre volte no e magari cediamo alla frustrazione e cambiamo strada. In ogni caso ci perdiamo l’insegnamento più importante e l’essenza di questa antichissima disciplina.
È solo quando lasciamo andare il timore di non essere all’altezza che ci accorgiamo delle immense potenzialità custodite nella pratica e realizziamo la grande contraddizione che diversamente porremmo in essere.
Ci dedichiamo allo yoga per coltivare il nostro ben-essere ma, spinti dal senso di inadeguatezza, cerchiamo un dover essere in qualche modo standardizzato e chiaramente diverso da ciò che siamo. Ci concentriamo sulla prestazione senza accorgerci di avere a disposizione la grande opportunità di sperimentare e conoscere chi siamo noi, liberi da condizionamenti e aspettative. Quando l’esperienza della pratica nasce dal desiderio di prenderci cura di noi, dimentichiamo ogni necessità di dover essere chi non siamo e di misurarci con altro di diverso da noi, per lasciare spazio ad un sentire profondo che ci consente di prendere coscienza del nostro personale e irripetibile cammino sulla Terra.
Quando ci focalizziamo sull’ascolto gentile che lo yoga ci offre, possiamo incontrare un sentimento nutriente, riscoprire nei nostri confronti una tenerezza insolita: una risorsa da cui attingere forza e in cui coltivare la nostra integrità. È da qui che ci potremmo allora accorgere della ricchezza di ogni esperienza e anche stupire del grande paradosso iniziale.
Paura o fiducia?
Ed eccoci a Settembre, al momento dell’anno dedicato alla ripartenza e spesso all’ansia da rientro. In questa situazione ci troviamo a volte incastrati tra il desiderio di rimandare le cose e la conseguente fretta legata all’urgenza di ciò che abbiamo rimandato. Ci comportiamo come se ci spaventasse affrontare un nuovo passaggio e l’incertezza che comporta. Non a caso si parla dell’ansia come dell’emozione del futuro. In effetti spesso gestiamo buona parte del rientro nel timore di non sapere prima cosa succederà poi. Ed è chiaro come, in questo particolare momento storico di grande incertezza, anche i livelli di ansia possano aumentare.
E se invece iniziassimo ad avere fiducia in ciò che ci attende?
Mi sono spesso chiesta come poter vivere diversamente gli stati di dubbio e incertezza che mi procurano ansia. In particolare, in questi giorni si sta concludendo un’estate per me piuttosto faticosa che mi ha portata ad interrogarmi su alcuni aspetti del mio futuro, non senza preoccupazione. Ho osservato i vari ambiti della mia esistenza, da quello privato a quello lavorativo ed anche quello globale in termini più ampi e ho notato che di frequente a muovermi è una costante che anche ora mi sta accompagnando verso un altro inizio, munita di nuova energia. È un elemento che sento importante condividere.
Non posso sapere cosa avverrà ma posso avere fiducia nelle mie scelte.
Mi riferisco ad ogni singola decisione che mi riguarda. Al fatto che quando scelgo ciò che sento buono, importante, utile per me, smetto di occuparmi in anticipo di ciò che capiterà. È un agire che nasce dal sentire, da uno stato di coerenza. Quando mi ascolto, e di conseguenza scelgo, scivolo in una condizione di tranquillità in cui si scioglie ogni paura. E questo mi accade da sempre con lo yoga. Rinnovo, giorno dopo giorno, o come in questo caso stagione dopo stagione, la mia scelta di praticare e di condividere la mia esperienza, perché la sento benefica. Questa mia fiducia nella pratica oltrepassa di gran lunga ogni incertezza legata ad eventi futuri, non solo esterni, che si alterneranno ad ogni stagione in arrivo. Penso ad esempio al timore di non poter proporre in questo periodo alcune pratiche perché realizzabili solo in presenza, o a quello di dovermi ancora privare di una parte essenziale delle relazioni umane in quanto limitate dalla versione online delle attuali sessioni.
Quello che mi propongo di fare ogni volta è sentire.
Il punto di partenza è ascoltare cosa è bene per me. Da lì poi posso comprendere come offrire al meglio ciò che porto nel mondo e fare le mie scelte. In questo, come per qualsiasi decisione umana, non vi è alcuna certezza, ma sono sicura di aver scelto per quanto mi era possibile. Naturalmente riconosco la difficoltà di lasciare andare il dubbio e forse a volte le mie scelte sono ancora condizionate da tanti elementi. Ma sento che se da un lato è possibile che il futuro mi spaventi perché non ho alcun potere su quello che succederà, dall’altro so di avere una risorsa fondamentale. So di poter scegliere, so di poter fare la mia parte. Più sono consapevole del mio potere, più ne divento responsabile, e più cresce il desiderio di celebrarlo e di alimentare fiducia nelle mie possibilità.
Se anche tu senti di voler rinnovare la fiducia in te o continuare a coltivarla ti aspetto sul tappetino. Nei prossimi giorni pubblicherò sulle mie pagine web kalpayogasocial tutte le informazioni relative al nuovo anno di pratica.
Un altro ciclo
Questa settimana si conclude un altro anno di pratica INSIEME e voglio condividere qui il mio sentire di questi giorni.
Sono felice di aver completato un nuovo ciclo di esperienza condivisa. Mi sento onorata di aver partecipato ad un ulteriore tratto di cammino comune avendo avuto la possibilità di incontrare, attraverso la pratica, ognuno di voi. Ed è con profonda gratitudine che ora mi preparo al caldo ristoro dell’estate, sapendo di essere pronta a nutrire al meglio i semi di una nuova stagione.
La PAUSA che rappresenta l’estate si rivela per me, ogni anno di più, un momento prezioso. Il desiderio di staccare per potermi dedicare al riposo, al sole, ad una sperata vacanza, si trasforma ogni volta in un rito di passaggio che, più o meno consciamente, mi ritrovo ad attraversare con curiosità. Anche questa volta ho la netta sensazione che, raggiunto il tempo sospeso dell’estate, una nuova GIOIA stia nascendo in me. Non mi sento grata solo per l’esperienza vissuta e per il meritato riposo che si avvicina. Ma anche ora, alla chiusura di un altro ciclo sento la ricchezza del PASSAGGIO, la bellezza del momento in cui divento consapevole di come il movimento verso un costante nuovo inizio sia parte fondamentale del PROCESSO VITALE.
La pausa diventa per me spazio dedicato ad un fertile silenzio e il silenzio un corale richiamo all’origine.
Si tratta di qualcosa di straordinario, forse simile ad un RITORNO alla fase in cui non sapevo parlare ma potevo solo ASCOLTARE. Un ascolto puro, attento, finalizzato ad apprendere e comprendere. Ed è in questi istanti di chiara presenza che mi affido al VUOTO del SILENZIO. A quello spazio tanto ampio quanto colmo di informazioni in cui ritrovare i frutti dell’esperienza conclusa e dove potermi curare di nuove semine. Il luogo dove poter prendere distanza dai miei pensieri, lasciare emergere l’ascolto della pura ESPERIENZA e potermi riavvicinare a me stessa.
Forse non è altro che il semplice sperimentare i cicli naturali della VITA, il reciproco scambio tra agire e sentire, la sana alternanza tra movimento e stasi. Proprio come il flusso del respiro che attraverso le sue onde sottili mi insegna ad ascoltare i magici attimi di sospensione tra un respiro e l’altro, a cogliere gli infinitesimali istanti di attesa tra chiusura e apertura, tra inizio e fine nel loro continuo ALTERNARSI. È chiaramente il naturale procedere delle cose che io imparo a percepire sempre più come un benefico approccio all’ESISTENZA UMANA e alle esperienze che incontro.
La cosa che amo di più in tutto questo è che il tempo in cui mi fermo diventa un modo di lasciare spazio alla gioia, perché è proprio quando sono felice che non sento il bisogno di muovermi altrove.
Felice estate a tutti voi.
KalpayogA
Ho notato che quando qualcuno mi chiede informazioni sul significato del nome KalpayogA sento un certo disagio dovuto alla difficoltà di riuscire a concentrare in qualche parola tanto spazio e tale forza. Ora provo a raccontarlo qui.
Kalpa è un termine sanscrito che parla della bellezza dell’infinito movimento legato al passare del tempo. Il tempo, quella dimensione che non possiamo toccare o sentire ma possiamo solo percepire e respirare. Nell’induismo il tempo è scandito da una serie di cicli chiamati Ere Cosmiche che si ripetono sistematicamente, salvo essere interrotte dal periodo in cui tutto l’universo viene riassorbito nella notte cosmica, fino ad una successiva nuova creazione. La durata dell’universo (Giorno di Brahma) come il periodo della sua latenza (Notte di Brahma) corrisponde ad un kalpa che, nella cosmologia induista e buddhista, è un lungo periodo di tempo che sta alla base dell’evoluzione e dell’involuzione dell’universo. Una teoria che si basa sull’andamento circolare del tempo, e non lineare come siamo abituati a considerarlo, in cui esso viene scandito in piccoli cicli che si ripetono all’interno di clicli più grandi, durante i quali l’universo continua a muoversi e a modificarsi.
In tutto il cosmo non esiste nulla di fermo o stabile. Tutto si muove, si espande o si avvicina spinto da un’energia misteriosa che tutto conduce. Una forza che muove, in uno spazio infinito dove esiste ogni cosa percepita o meno come materiale. Noi ci sentiamo piccoli di fronte all’immensità di tutto questo, quando ci accorgiamo che la terra è una minuscola goccia all’interno di un oceano di universo in cammino. Ma la terra si muove come tutto il resto e noi ci spostiamo ed agiamo nel nostro sottile e unico ciclo di esistenza seguendo le medesime leggi naturali, attraversati dalla stessa energia che compone il cosmo. Noi siamo l’universo: kalpa è la semplice e infinita magia di cui siamo parte.
Ed è la stessa forza ad essere per me fonte di ispirazione primaria nel mio approccio allo yoga e nel proporne la pratica. Sento la stessa magia radicata nel principio di unione insito nello yoga, all’interno di questa dimensione di macro movimento che si riflette inesauribilmente nel micro movimento e che si esprime in un costante e reciproco scambio che possiamo riconoscere in un intimo ascolto interiore. Si tratta di una continua relazione benefica, una corrispondenza che, quando rispettata nella sua forma naturale, si rivela profondamente nutriente. Acquisire piena conoscenza di sé, di tutte le nostre potenzialità attraverso una pratica di consapevolezza crescente è da sempre il mio intento. Ed è attorno al mio progetto di accompagnare chi lo desidera, verso la riscoperta di questa infinita energia vitale che ci pervade, che si è definita l’identità del mio lavoro.
“Tu sei universo in movimento estasiante” Rumi
Un nuovo inizio
In queste settimane di ripresa delle attività e dei nostri incontri mi sono spesso trovata a riflettere sul significato del cambiamento in relazione al particolare periodo storico che stiamo vivendo.
Comunemente siamo abituati a notare i grandi cambiamenti quando sono repentini perché, come ormai sappiamo, ci appaiono pericolosi o destabilizzanti. Ma a ben guardare, al di là di considerarli per noi positivi o negativi, sono davvero pochi i cambiamenti che avvengono in maniera netta e rapida.
Nella maggior parte dei casi i cambiamenti sono lenti e graduali, tanto da non essere forse visibili. Spesso se non diamo loro la giusta attenzione nemmeno ce ne accorgiamo. E mi sembra che questa specie di disattenzione rispetto al cambiamento lento possa tradursi in una visione limitante che ci porta a dare tante cose per scontate e a tralasciare la possibilità di vivere la nostra naturale esperienza.
Forse il risveglio cui si fa riferimento nelle discipline spirituali, come lo yoga, sta proprio nella possibilità di cogliere, nel costante movimento in cui siamo immersi, il cambiamento in ogni istante. E il fatto di poterlo riconoscere credo sia proprio la capacità, frutto di una costanza nella pratica, che secondo le nostre individuali tempistiche, certamente graduali, siamo in grado di riscoprire.
Ogni tanto, nel cambiamento che stiamo vivendo, in superficie eccezionale e repentino, dimentichiamo la paura e ricordiamo di poterci indirizzare verso un nostro movimento interiore, ricordiamo di poterci affidare a profondi e salutari momenti di ascolto destinati a riflettersi intorno a noi. Impariamo a dare attenzione ad ogni aspetto che sentiamo importante della nostra esistenza e a lasciare andare i condizionamenti esterni. Ricordiamo che il vero cambiamento che desideriamo origina in noi e può nascere dall’ascolto della nostra parte più intima.
Continuiamo a scegliere del tempo di qualità e una pratica di attenzione e cura. Ascoltiamo, ora più che mai, la nostra paura. Iniziamo a percepire come tra i sentimenti di biasimo, rabbia e quelli di insoddisfazione e resa ci possa essere un’altra possibilità. Quella di fare un passo indietro e decidere di scegliere per noi.
Credo che la vera alternativa sia decidere del nostro personale cambiamento, scegliere la libertà di ascoltare la nostra voce interiore per poterla assecondare.
A parole sembra semplice, lo so. So che spesso non è facile, ma si può fare. Serve mettersi in gioco, serve metterci cuore.
Vi aspetto per un coraggioso nuovo inizio.
A partire dalla prossima settimana riprenderanno i nostri incontri di Hatha Yoga, Yin Yoga, Yoga del Suono, Yoga in Gravidanza e Balyayoga. Potrete trovare tutti i dettagli negli aggiornamenti pubblicati sulle mie pagine web.
La NATURA del MANTRA
Fin dall’antichissima cultura vedica il Mantra fu ritenuto una potenza, una parola-suono capace di generare una connessione con il Brahman, l’invisibile principio cosmico.
Le più antiche scritture vediche per molti secoli vennero tramandate solo oralmente e coloro che le memorizzavano dovevano anche apprendere l’arte della corretta recitazione perché i Veda, testi sacri formulati in sanscrito vedico, sono innanzitutto suono e potenza.
Per arrivare alla comprensione del potere del Mantra, nella sua globalità e nella sua particolarità, credo sia necessario guadare allo Yoga come una scienza empirica oltre che una disciplina psicofisica che mira all’unione degli opposti.
Pur nella consapevolezza che lo Yoga si propone come fine una via che conduca al risveglio di tutte le potenzialità interiori dell’essere umano, dobbiamo tenere presente che la pratica non ha un carattere conclusivo o assoluto, ma adattabile ad ognuno e perfettibile, tanto più che la sua trasmissione fa parte essenzialmente di una lontana tradizione orale avvenuta da maestro a discepolo.
Si può dire che lo Yoga è una forma di conoscenza che oltrepassa la mente, l’intelletto e lo studio dei testi.
Lo Yoga utilizza la materia, nella sua struttura sia grossolana che sottile, come mezzo esperienziale e creativo dell’intero nostro essere.
Ogni praticante, anche quando vive esperienze legate ad un ambito più spirituale, si avvale costantemente della sua sfera strettamente fisica, composta da tutti gli istinti vitali insiti nella sua natura di essere umano.
Possiamo allora considerare lo Yoga come un sistema filosofico-pratico in cui il corpo, nel suo insieme, rappresenta lo strumento primario per raggiungere ogni tipo di ascolto, trasformazione e cambiamento.
Il Mantra viene formalmente inserito tra le pratiche mentali dello Yoga dal momento che la sua ripetizione viene mantenuta in uno stato di concentrazione profonda e continua. Si tratta di una formula in lingua sanscrita e composta da brevi estratti dei Veda preceduti o seguiti da così detti fonemi di potenza, chiamati Bīja Mantra, che custodiscono un significato trascendente e non definibile a parole. Colui che recita il Mantra, partendo dal corpo ed attraversando la mente, entra gradualmente nella contemplazione del suono e nell’ascolto del significato che quel suono implica, risvegliando la propria coscienza emozionale. In pratica, entrare nella contemplazione di parole che, ad esempio, esprimono amore significa risvegliare nel proprio intimo le qualità dell’amore.
Già sappiamo che la materia, apparentemente solida e inerte, in realtà pullula di sottili vibrazioni subatomiche, che gli elettroni ruotano attorno al nucleo dell’atomo ad altissima velocità ed è per questo che la materia ci appare solida. E sappiamo anche che con uno strumento sufficientemente sensibile ne potremmo percepire vibrazione e suono.
Forse ciò che non abbiamo ancora del tutto digerito, e che negli ultimi decenni la fisica ci ha abituato ad assimilare come principio forse tipicamente filosofico, è il fatto che la materia è essenzialmente energia e non si limita soltanto alla dimensione della vita che possiamo percepire con i nostri cinque sensi.
In questo modo risulta forse naturale comprendere l’essenza del Mantra. La sua ripetizione consente di integrare il nostro sentire a livello interiore e al tempo stesso ci pone in sintonia con le nostre origini cosmiche e immateriali in cui tutto il nostro essere vibra trasformandosi da solida materia in pura energia.
Il fondamento etico dello Yoga
Il saggio illuminato Patañjali, in un’epoca imprecisata tra il III secolo a.C. ed il IV d.C. codificò lo Yoga in un’opera unica nel suo genere, gli Yoga Sûtra. Si tratta di una raccolta di 196 aforismi (sûtra) giunti a noi grazie ad una ininterrotta trasmissione orale da maestro a discepolo che delineano il famoso Ashtânga Yoga, lo yoga degli otto stadi o delle otto membra.
In questo sistema complesso e organizzato si delinea il percorso di otto passaggi, come fossero otto gradini, che il praticante dovrà seguire per ottenere l’illuminazione e la conoscenza della verità celata sotto il velo dell’apparenza.
Quale base e punto di partenza per una comprensione completa di questo cammino incontriamo Yama e Niyama, le astensioni e le osservanze da considerarsi come il fondamento etico dell’Ashtânga Yoga che si sviluppa, oltre ai due anga appena citati, in Āsana, Prânâyâma, Pratyâhâra, Dhârâna, Dhyâna e Samâdhi. Lo studio e l’esperienza di Yama e Niyama riescono a coinvolgere in maniera sempre più profonda ogni praticante accompagnandolo verso una presa di coscienza di sé e del proprio ruolo all’interno della magica esperienza umana cui fa da sfondo l’intero Universo.
Gli Yama sono cinque precetti da seguire per ritrovarsi in armonia con gli altri e con tutto ciò che ci circonda.
• Il primo, Ahimsâ, è la non violenza intesa come atteggiamento diffuso rispetto a tutto ciò che in qualche modo può ferire, e non solo in termini di violenza fisica. Si tratta di tornare a contattare una sensibilità naturale che a volte, in preda alla sofferenza, dimentichiamo e che ci permette di cogliere la verità di un approccio amorevole che rispetti la natura autentica di ogni cosa senza considerare di poterla modificare o prevaricare.
• Il secondo yama, Satya, è la verità intesa come sintonia tra i pensieri, le parole, i nostri sentimenti e talenti, le azioni e le scelte che quotidianamente operiamo. Si tratta di trovare la nostra integrità in ogni momento ed in ogni situazione per poterci mantenere in armonia con noi stessi e con gli altri.
• Il terzo è Asteya, l’onestà. Spesso tradotto come “non rubare” esso non riguarda solo l’aspetto pratico del desiderare qualcosa che non si ha o non si può avere, ma viene coinvolto anche il piano spirituale ed emotivo. Si potrebbe forse considerare come una sana presa di coscienza del fatto di avere già naturalmente in noi tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
• Il quarto yama è Brahamacharya, la continenza. È la purezza nelle parole, nel sentire e nell’agire il nostro pensiero che si traduce in una vita sessuale equilibrata e in generale nel vedere amore (Brahma) in ogni cosa, perché ogni nostra azione o esperienza possa essere un atto sacro.
• Il quinto ed ultimo yama, Aparigraha, è la non avidità, ovvero un invito a liberarsi dal vano desiderio di possedere. Si potrebbe vedere come un invito ad uscire dall’illusione del possesso e a scoprire lo stato di non attaccamento grazie ad una rinnovata consapevolezza del nostro semplice viaggio che ci accomuna nell’esperienza terrena.
Anche i Niyama sono cinque e possiamo considerarli come comportamenti e atteggiamenti da coltivare per poter vivere in completa armonia con noi stessi e con la nostra natura più intima.
• Il primo è Sauca, la purezza intesa come pulizia interiore ed esteriore. Un salutare prendersi cura di sé finalizzato ad un benessere complessivo e relativo al corpo, alla mente e allo spirito.
• Samtosa è la contentezza, quella serenità interiore che deriva dall’essere soddisfatti di ciò che semplicemente è. Un appagamento costante, una sana e gioiosa predisposizione del cuore da condividere e diffondere.
• Il terzo Niyama è Tapas, l’austerità intesa come il fuoco interiore che arde nel profondo di ogni praticante determinato, di ogni esploratore della propria spiritualità e che lo accompagna a fortificare il corpo e a sviluppare tenacia e consapevolezza.
• Svâdhyâya, il quarto Niyama, è lo studio di sé. È importante per ogni praticante lo studio delle scritture sacre ma è fondamentale una costante pratica introspettiva di autoanalisi che conduca ad una sempre più approfondita consapevolezza di sé.
• E infine Îsvara Pranidhâna è l’abbandono senza riserve, un lasciar andare il bisogno di soddisfare desideri legati all’esperienza terrena, un mollare la presa per potersi affidare all’immateriale e alle verità più elevate.
IL SISTEMA FASCIALE
Solo negli ultimi decenni è stata approfondita la conoscenza delle qualità specifiche del sistema connettivo e del modo in cui opera nel nostro organismo. Si è scoperto che la fascia influenza in maniera importante la postura e le funzioni di ogni organo e di ogni nostro sistema interno. Si tratta di un tessuto morbido e molto dinamico che possiede flessibilità e allo stesso tempo grande forza.
È un contenitore di energia e un conduttore di informazioni che si forma durante lo sviluppo embrionale ed esiste sotto forma di tessuto continuo in ogni punto del corpo. Si trova in ogni strato della muscolatura, attorno ad ogni organo, in ogni cavità corporea, avvolge il midollo, il cervello, ogni osso e si trova in ogni spazio intercellulare.
Essa stabilisce la dimensione di ogni singola struttura mantenendone intatta la forma e ha la funzione straordinaria di integrare tutte le aree corporee aiutandole a collaborare e a coordinarsi.
Forse perché figli di un’era industriale abbiamo acquisito nel tempo la tendenza a vedere il nostro corpo in termini meccanici, come un insieme di parti distinte. La stessa teoria tradizionale del sistema muscolo-scheletrico sostiene che i muscoli si uniscono alle ossa tramite i tendini che attraversano le articolazioni tirando le ossa le une verso le altre nei limiti di altre diverse parti chiamate legamenti.
Ma le separazioni che implicano queste definizioni anatomiche non tengono conto della nostra reale natura. Nessun legamento esiste da solo, esso si fonde nel tessuto connettivo. Ciò significa che tutti i suoi elementi sono cresciuti insieme dal principio e all’interno dello stesso sistema fasciale.
Ognuno di noi è un insieme di circa cinquanta mila miliardi di cellule unite da una fluida rete fasciale che, in maniera simile alla cellulosa nelle piante, ci compenetra saldamente e si assesta costantemente e in modo naturale accogliendo ogni nostro movimento.
Inoltre, sappiamo che la fascia immagazzina vibrazioni e conserva in sé una memoria. Essa è la sede di traumi motori e psichici ed è il luogo dove si imprime la memoria positiva della salute. Se la fascia è libera e senza contrazioni tutti i nostri sistemi possono respirare, così come una sua anomalia in un punto specifico ha potenziali ripercussioni su qualsiasi altra nostra area.
Da tempo la scienza studia l’impatto dei nostri schemi mentali e comportamentali sul corpo e il fatto che in realtà si tratta di un’influenza reciproca. Ed è ormai chiaro che ogni tipo di stress, specie se non risolto, si traduce anche nel corpo in una tensione cronica. È in questa comune e diffusa condizione umana che la fascia si irrigidisce perdendo di potenzialità.
Il movimento fisico è di certo un ottimo aiuto ma gli allungamenti lenti e morbidi dello yoga, così come alcuni tipi di massaggio, ci permettono di riacquistare la sua plasticità e la nostra piena funzionalità.
Sappiamo, infatti, che la fascia è lenta nelle sue reazioni e necessita di tempo per adattarsi allo stimolo che però mantiene in memoria, per cui prendercene cura implica una certa costanza. Non è un caso che lo yoga e tutte le sue pratiche come anche la meditazione e la respirazione siano state sviluppate per favorire un cambiamento e un miglioramento di tutta la nostra struttura psicofisica.
Perché lo yoga possa favorire il nostro benessere è importante che la pratica sia regolare nell’offrire stimoli ed opportunità costanti che ci consentano di liberarci da tensioni fisiche ed emotive e che permettano di nutrirci e rinnovarci in una sempre nuova e benefica integrazione.
La voce del Cuore
Essere genitori, educatori, è un compito spesso faticoso che richiede un impegno fisico ma soprattutto una costante presenza a livello emotivo e mentale.
Come definire ciò che è giusto per noi e per i nostri bambini?
Credo che nessuno abbia la verità in tasca, ma sento che alcuni punti meritano una riflessione. Ad esempio spesso mi soffermo a ricordare che l’educazione è un processo naturale del bambino che avviene attraverso la sua esperienza in un ambiente in cui si può esprimere. E sento che, in questo, l’ascolto diventa un momento fondamentale. Il bambino necessita di essere accolto nei suoi bisogni ma comprende il linguaggio dell’esperienza più di quello delle parole, per cui se abbiamo l’impressione di non essere ascoltati, proviamo ad ascoltarlo.
Alzare la voce per farsi ascoltare è una tentazione che tutti conosciamo e spesso ci cadiamo senza accorgerci che gridare non solo non educa, ma chiude ogni comunicazione e lentamente inibisce una relazione sana e costruttiva. Senza dimenticare che un bambino interpreta le grida come un’espressione di odio e se a lui ci rivolgiamo in questo modo, in fondo si sentirà respinto, non amato.
L’atto di gridare ha uno scopo ben preciso nella nostra specie come in tutte le altre. Gridare significa pericolo, rischio. Il nostro sistema di allarme si attiva producendo cortisolo, l’ormone della paura, che ci induce fisicamente e biologicamente a fuggire o a lottare. Se comunemente utilizziamo le urla come strategia educativa possiamo immaginare quanto, a livello emotivo, possa essere dannosa una condizione di continuo stress e allarme.
Di certo è impegnativo imparare a comunicare con un bambino ma, se lo facciamo, eviteremo di rendere sordo il suo sentire.
Guidare e sostenere con autorevolezza e senza ricorrere alle urla avrà un impatto positivo sullo sviluppo della sua personalità perché ci permette di prenderci cura del suo mondo emotivo, di alimentare la sua autostima e di mostrargli che una comunicazione efficace si basa su ascolto, comprensione e connessione.
Ogni volta che stiamo per alzare la voce diamoci la possibilità di fare un passo indietro. Prendiamoci qualche respiro per sentire dove siamo, cosa ci sta innescando quella reazione, dove nasce. La sua causa è davvero da ricercare al di fuori di noi? Oppure siamo forse stanchi, mentalmente carichi, emotivamente provati dalle nostre umane battaglie? In questi casi sento che perdere il controllo non significa solo perdersi ma molto di più. Se abbiamo un bimbo di fronte vuol dire perdere una preziosa opportunità di comprendere cosa gli sta accadendo, cosa sente. Perché c’è sempre un motivo dietro un comportamento o una situazione e comprenderlo può solo facilitare un reciproco e fruttuoso dialogo.
Per quanto possibile, tra le grandi difficoltà dei nostri tempi che tutti ben conosciamo, impariamo ad ascoltarci per poter offrire la giusta attenzione anche ai nostri bimbi. Regaliamoci in famiglia la condivisione di un tempo di qualità, poniamoci come figure di supporto incondizionato per i nostri piccoli.
Proviamo ad abbassare il volume della voce per ascoltare meglio il nostro cuore.
LA GRANDE MADRE
In ognuno di noi, donne e uomini, vive la Grande Madre.
L’archetipo della naturale forza del femminile che trascende la mente e l’azione, la matrice della protezione benevola che nel buio invisibile del sentire favorisce fecondità, nutrimento, crescita, trasformazione e rinascita.
La Grande Madre è l’origine, la creatività del grembo materno che nelle società matrilineari si manifestava nella Natura e nella Madre Terra. Si esprimeva nei sentimenti di condivisione, relazione e pace e si è andata man mano rivelando in noi anche come consapevolezza amorevole, come elemento di comprensione e compassione in onore del quale il nostro bene diventa quello degli altri e quello degli altri il nostro.
È la sua essenza ciò che negli ultimi anni mi sembra stia tornando in superficie ad esprimersi in maniera diffusa sotto forma di connessione con la natura, con un senso di protezione dell’ambiente, e che ci sta riportando lentamente ad una relazione armoniosa con la nostra natura più pura, con tutto ciò che ci circonda e di cui siamo parte. Stiamo gradualmente ritornando ad un’attenzione alla Terra, ad un senso di ecologia profonda che ci accompagna verso scelte più naturali, così come sta accadendo nel campo della alimentazione grazie ad una rinnovata consapevolezza crescente.
In questo modo sento il sacro femminile, come la possibilità di diventare madri del Tutto. Si tratta di un sentire che si traduce nella disponibilità a poter essere madri di ogni cosa al mondo, senza alcuna distinzione o separazione.
Significa ascoltare chi siamo e riconoscerne il valore. Significa ammorbidire il cuore per poter lasciare accadere la vita e permetterle di manifestarsi diventandone onorati custodi.
Essere madri significa aprire e aprirsi, significa costruire, accogliere la vita e raccoglierne i frutti, significa condividere diventando madre di ogni creatura perché la si sente propria.
Vuol dire dare il meglio di sé, cercarlo ogni giorno e trovarlo in ogni dimensione.
Essere madre significa comprendere e accettare, vuol dire unire, scavalcare muri e accorciare distanze. Significa incontrarsi ed incontrare, ascoltare il proprio spazio vitale ricco di una saggezza antica, pieno di risorse creative naturali e di profonde competenze innate.
Riconoscere e vivere la Grande Madre è celebrare la vita nella sua sapienza e assecondarla nella costante ricerca di una unità spesso inascoltata.
Il Linguaggio dello Yoga
Ogni cosa esistente si compone di una vibrazione e di una frequenza elettromagnetica. Comunemente le parole delle lingue moderne hanno la funzione di indicare e connotare l’oggetto cui si riferiscono, invece il Sanscrito denota la vibrazione e la frequenza di quell’oggetto. Il vocabolo che lo descrive esprime la sua vibrazione nel mondo, facendo sì che suono e significato non siano più due entità distinte.
Il Sanscrito è una lingua vibrazionale perché non è il solo suono a dare importanza alla parola ma la vibrazione che trasmette. Il suo alfabeto è formato da sillabe chiamate Mantrika (Piccola Madre) perché in ognuna è insita la capacità di manifestare e creare l’energia e la vibrazione di ciò che si sta nominando. Questo è il potere del Sanscrito ed è il motivo per cui spesso i maestri chiedono di ripetere i Mantra senza doverne manifestare il significato letterale. L’essenza primaria del Mantra è connaturata nel suo suono.
Ogni parola di questo straordinario linguaggio ha molte sfumature e significati, si tratta di una lingua evocativa e ogni espressione possiede un tale profondo significato da raggiungere la vera essenza dell’oggetto che descrive.
Si parla di lingua vibrazionale anche perché le parole si possono sentire attraverso il corpo. Le singole sillabe vi accedono attraverso diverse vibrazioni, toccando punti specifici. Se consideriamo il fatto di essere costituiti per la maggior parte di acqua, è più facile comprendere che come una goccia nell’acqua crea movimento, così una vibrazione energetica risuona nel nostro movimento interiore. È comprensibile allora come lo Yoga rappresenti un fecondo percorso di cura di sé anche grazie all’apporto fondamentale di un linguaggio vitale quale preziosa opportunità di favorire la guarigione del corpo fisico, emotivo, mentale e spirituale. Personalmente condivido la ricchezza dei Mantra, e la propongo nella mia pratica, come una modalità di ascolto intimo che riallinea interiormente e sintonizza con la vibrazione universale. L’intonazione delle loro sillabe favorisce un diretto contatto con la nostra parte più autentica permettendoci di ascoltare, purificare ed armonizzare ogni livello del nostro essere. Del resto si dice che il Sanscrito, originariamente chiamato Devangari (cioè il mezzo di comunione con gli dei) sia molto più di un linguaggio e che il suo suono possa riflettere quello cosmico, il Suono universale che genera, nutre e sostiene ogni cosa. Non è un caso che nella religione induista l’utilizzo del Sanscrito sia la prima Sadhana, la prima pratica salutare diretta a riportarci alla nostra connessione con il Tutto. E non lo è nemmeno il fatto che le divinità vediche siano considerate i semi dell’Universo e che da questi sia stata sviluppata ogni lettera dell’alfabeto di questa incantevole lingua.
Come si pratica un Asana?
Il termine sanscrito Asana contiene la radice as che riconduce al significato di sedersi, restare, ma anche di essere presenti, celebrare e fare qualcosa in modo costante e senza interruzione. Un ventaglio di sfumature che il termine posizione, che abitualmente lo traduce, non riesce nel complesso a rappresentare…e chi ama la pratica sa quanto un asana sia molto più di una postura. Allora come approcciare al nostro Asana?
Credo che un passo importante sia iniziare a prendere consapevolezza del proprio sentire.
Attraverso una fase di ascolto semplice, non sempre facile, possiamo iniziare a percepire ciò che accade nel corpo. Si tratta di momenti di attenzione amorevole in cui poter accogliere quanto emerge ad ogni livello, sul piano fisico ma anche mentale ed emotivo. È una pratica, che sento basilare, di accettazione profonda alimentata dal nostro silenzio interiore.
Ed è senza dubbio una preziosa occasione di comprendere l’importanza dello stare senza il fare.
Con una pratica libera e naturale iniziamo a percepire la vitalità del respiro e impariamo ad ascoltare per poterlo seguire ed assecondare. Rimanendo in uno stato di curiosa apertura iniziamo a percepire i nostri blocchi, a risvegliare muscoli dormienti e a rilasciare tensioni diffuse. Grazie al respiro possiamo liberare il corpo dalla memoria che si è consolidata nel tempo dell’esperienza.
Sento questo tipo di attenzione come una qualità fondamentale da coltivare con pazienza e fiduciosa determinazione. Attraverso un impegno fisico graduale ed una premurosa costanza possiamo ridurre al minimo anche il conflitto della postura. Grazie, infatti, ad un’osservazione consapevole il corpo si accomoda in un appoggio morbido, la mente si apre alla conoscenza interiore e le emozioni si sciolgono in un lento e benefico processo di cura di sé.
Possiamo in questo modo sviluppare una sana condizione di presenza, imparare a distinguerla dai momenti di assenza e cominciare ad assaporare il senso di una attenzione volontaria e salutare che ci accompagna anche verso lo stare nel fare.
Potremmo dire allora che un Asana non si fa. Possiamo semplicemente entrare in una posizione con presenza.
Osservare e accogliere apertamente tutto ciò che accade nella sua qualità di esperienza intima e pura e poi uscire dalla posizione con un nuovo sentire, più denso, e con una rinnovata autenticità nel nostro essere. Sperimentare un Asana significa apprezzare la possibilità di percepire quello che sentiamo in ogni momento della pratica per conoscere chi siamo e prenderci cura del nostro benessere.
Che cos’è un Asana?
Oggi molto spesso gli asana rappresentano la quasi totalità della pratica che viene comunemente proposta, per qualche motivo le posizioni sono diventate da tempo l’elemento maggiormente rappresentativo dello Yoga.
Ciò è avvenuto per una serie di concause che sarebbe lungo affrontare, oltre a non essere questo l’ambito, e probabilmente non darebbe risposte utili. Preferisco solo soffermarmi sullo stato attuale dello Yoga perché mi aiuta a focalizzare ciò che sento importante nella mia pratica e in quella che offro.
Senza dubbio lo Yoga, come ogni altro aspetto dell’esistenza, è in continuo movimento, evoluzione, cambiamento e lo è sempre stato. Alla luce di questo nella mia pratica scelgo di mantenere saldi alcuni aspetti che continuo a considerare fondamentali, ma cerco anche di aprirmi a nuovi saperi e a nuove esperienze, spesso trasversali, che mi arricchiscono e che mi offrono la possibilità di trovare anche nuove risposte.
In particolare, nel flusso del cambiamento sento importanti due elementi.
Il desiderio di praticare e diffondere lo Yoga nel suo essere un naturale e consapevole stile di vita, e la responsabilità di rimanere radicata nella sua essenza, di mantenere vivo il suo obiettivo finale. Scelgo infatti quotidianamente di offrire una pratica intesa come possibilità di andare oltre la comune sofferenza umana che ci caratterizza.
Che cos’è allora un asana e in che modo si distingue da un esercizio fisico?
Gli asana sono una parte dello Yoga, un passaggio di una sua dimensione più ampia e completa. Come descritto nei miei ultimi post, Patanjali li considera come il supporto fisico atto a garantire i successivi stadi di consapevolezza, che in realtà sono già presenti in potenza nella posizione di base del corpo. Allo stesso modo, abbiamo visto come secondo i testi antichi di Hatha Yoga, attraverso le posizioni scopriamo stati di coscienza espansa per i quali è necessario essere preparati fisicamente ed energeticamente.
Ora, se l’attività fisica mira ad attivare e potenziare i nostri muscoli, gli asana facilitano la consapevolezza corporea, lavorano sugli organi interni, regolano l’attività endocrina. Se movimento e contrazione muscolare sono alla base dell’esercizio fisico, nello yoga sono aspetti funzionali. Sono previsti solo nell’ambito iniziale dell’apprendimento destinato a condurci alla fase di mantenimento in cui la muscolatura è rilassata. Metabolismo, consumo di ossigeno e attività fisiologiche in genere che vengono accelerati durante l’esercizio fisico, risultano rallentati nello yoga. Inoltre, la presenza e l’attenzione che la pratica sviluppa nel processo di consapevolezza interiore rimane un aspetto quasi sempre superfluo in qualsiasi esercizio puramente fisico.
E potremmo continuare a trovare altri elementi ancora che caratterizzano la pratica yogica, ma ciò che forse li potrebbe riassumere è il fatto che un Asana è una sorta di alchimia antica in movimento da sperimentare, un’esperienza di conoscenza e trasformazione che agisce dal profondo a livello fisico, mentale, spirituale, un viaggio che dal grossolano ci accompagna al sempre più sottile permettendoci di riscoprire chi siamo.
Libertà e Amore
Ogni creatura ha in sé la purezza dell’essere, dello stare nel presente senza giudizio, senza alcun desiderio o necessità di dover essere altro di diverso.
Ogni nuova vita nasce libera e incondizionata. Ogni nuova vita ha insita la vibrazione naturale della coscienza di sé che la unisce al mondo e questo è ciò che amo riscoprire nel contatto con i bambini e che ogni volta mi fa sentire a casa. Ogni bambino è unico e speciale, ognuno con diversi tempi, modalità e qualità proprie risveglia in me la meraviglia e la naturale essenza del vivere.
Amo osservare le sfumature del loro manifestarsi e continuo ad ascoltare la loro bellezza, a lasciarmi condurre attraverso viaggi emozionanti verso mondi incantevoli. Con loro amo ritrovarmi in quel sapore intimo di libertà autentica che tutto accorda e comprende.
Durante i nostri incontri amo partecipare giorno dopo giorno di ogni piccola conquista e dedicarmi alla nostra pratica insieme affinché ognuno di loro possa seguire un processo di sviluppo il più naturale e armonioso possibile.
Sto volutamente ripetendo il verbo amare perché sento che volermi relazionare con i bambini in maniera efficace significa amarli. Si dice che è possibile amare qualcuno soltanto desiderandone la piena e libera manifestazione. E per me, il fatto di poter partecipare di tutto questo è l’aspetto più bello dell’amore.
Dunque non posso che assecondare il cammino dei più piccoli assicurando loro un nutrimento consapevole. Amare i nostri bambini nella loro libertà di fiorire è la via per accompagnarli verso un sano sviluppo.
La sento come la giusta dimensione per loro e come un’opportunità unica per noi adulti. Si tratta della preziosa occasione di poter ricontattare la nostra autentica libertà di essere e, una volta ritrovata, poterla garantire loro.
Perché, in realtà, si tratta della stessa libertà che ci permette di ascoltarci nel profondo e riconoscerci nella sola vibrazione universale che anima ogni cosa. È la stessa libertà che ci consente di prenderci cura di noi per poter vedere ogni altro essere. È la condizione di naturale amorevolezza che unisce lo sguardo di ogni creatura.
Siamo noi adulti ad avere la possibilità di continuare a scegliere la nostra unicità, a coltivare la nostra libertà e quella dei nostri piccoli e sento fondamentale la responsabilità di questa scelta.
LIBERTÀ e SOSTEGNO
Ogni creatura nasce come un essere perfetto che necessita di presenza, ascolto e del sostegno di adulti consapevoli che si prendano cura di lui nel suo processo creativo di sviluppo.
Per questo negli incontri di yoga per i più piccoli sento importante favorire lo stato di naturale libertà del bambino. Intendo libertà di essere, di pensiero e di espressione, ma anche libertà dai condizionamenti e dalle aspettative di qualsiasi adulto.
Libertà non significa lasciare che il bambino faccia qualsiasi cosa, con ogni mezzo ed in ogni momento. Mi capita spesso di osservare come un bambino che non ha confini chiari e coerenti si senta solo, smarrito e abbandonato a se stesso e ogni volta mi sento richiamare da un certo senso di responsabilità.
Percepisco che coltivare una condizione di consapevole empatia possa essere un buon punto di partenza. Sento infatti che libertà significa offrire regole a sostegno di uno sviluppo organico del bambino che tenga conto delle sue naturali esigenze e favorisca un amorevole rispetto di se stesso e del mondo.
In questo mi accorgo di quanto sia importante che le regole siano ragionate, comprensibili, condivise e per questo funzionali alla crescita di un individuo sano e felice. Al contempo mi rendo conto di come esse non possano esprimersi in ordini imposti dall’alto destinati ad attivare una forma di obbedienza passiva che tende a provocare frustrazione e a delineare i tratti di un futuro adulto passivo, poco cosciente di sé. Dunque credo che un altro buon punto di inizio siano regole sane idonee a garantire ad ogni bambino la possibilità di agire in maniera spontanea, la possibilità di sperimentare, di assecondare il proprio sentire, di conoscere così il mondo e di formarsi al suo interno. Questo è il motivo per cui amo osservare i bambini e assecondarli nelle loro peculiari esigenze. Amo accompagnarli nella pratica con attività creative che sostengono l’esperienza di emozioni e stati d’animo diversi vissuti dal singolo nel gruppo.
La mia pratica è volta a preservare lo stato di apertura naturale che caratterizza all’origine ogni essere umano. Le esperienze che offro promuovono una condizione di socializzazione spontanea che ascolti e valorizzi l’unicità di ognuno. Le mie proposte, che sono spesso destinate al lavoro di gruppo, si definiscono in uno stato di fraterna accoglienza tale da permettere ad ogni bambino di riconoscersi in tale sentimento e di potersi esprimere pienamente.
In questo modo posso osservare come i bambini riescano a fluire in maniera spontanea, sempre più aderente a sé e insieme a relazionarsi con crescente serenità a ciò che li circonda.
Yogic Running
Ciò che amo osservare nella corsa è il suo modo di rappresentare la vita.
Abbiamo la possibilità di scegliere molti aspetti del correre e soprattutto la facoltà di dedicarvi energie in funzione del nostro stare bene. Decidiamo il momento più opportuno, il tempo che ogni volta gli vogliamo e possiamo dedicare.
A volte scegliamo un percorso e altre lasciamo che sia lui a condurci.
Lungo il tragitto troviamo una rete di strade, bivi, salite, discese, a volte ostacoli. Incontriamo persone, situazioni e viviamo un costante movimento di molteplici esperienze che colorano la nostra esistenza di sfumature che ognuno di noi può utilizzare per modellare e trovare la propria forma interiore.
Ad esempio nell’incontrare un ostacolo possiamo decidere di evitarlo velocemente per non perdere il ritmo, ma il sollievo immediato che ne deriva a volte ci lascia come in sospeso, come se il non vissuto rivelasse poi un certo disagio. Possiamo affrontare le cose prendendo le giuste misure del caso, valutando sul momento e sentendoci comunque aderire in qualche modo al nostro sentire. Oppure possiamo restare e soffermarci. In qualunque caso abbiamo la possibilità di fermarci ad osservare.
L’aspetto che amo di più di queste pause è che lo possiamo fare anche a posteriori, in un successivo momento dedicato ad un ascolto senza giudizio. Possiamo fermarci ad accogliere ciò che emerge nel nostro intimo, in quella stessa situazione o a distanza di tempo, per sentire meglio e scegliere come procedere con nuova consapevolezza.
Non si tratta di bloccare i nostri passi in ogni momento, ad ogni minima sollecitazione, tantomeno di evitare l’ascolto della nostra voce interiore più istintuale, quella che spesso ci aiuta a risolvere velocemente una situazione improvvisa. Quello che colgo in questo muoversi sempre più consapevole è piuttosto un invito a percepire con gentile costanza la possibilità di poterci avvicinare alla nostra verità.
Significa aprirsi alla possibilità di sintonizzare sempre meglio il fare con il sentire. Ed io sento questo come un punto di passaggio importante e come il vero punto di incontro tra yoga e corsa.
Se sei come me un/a entusiasta praticante ma magari stai tralasciando le attività motorie come la corsa, sappi che si tratta di attività complementari. Molti sono i punti a favore di una pratica integrata che unisce i benefici di entrambi i tipi di esperienza.
Spesso in ambito yogico si guarda alle attività più fisiche come a qualcosa di lontano dal puro sentire l’esperienza. E con questa mia riflessione non intendo spingerti ad accantonare il tappetino ma invitarti a considerare gli aspetti positivi di un tipo di attività che non solo potrebbe rivelare la sua utilità, ma anche dimostrarsi un tipo di esperienza del tutto affine alla tua pratica.
Sento il correre come una possibilità di stare nel fare, come un’ulteriore opportunità di vivere lo yoga nel quotidiano e con l’aggiunta di diversi effetti benefici. La corsa stimola infatti il nostro apparato cardio-circolatorio e favorisce una specifica attività muscolare. La corsa ci mantiene in forma grazie al lavoro aerobico e ci regala al contempo un momento per stare da soli con noi stessi e il nostro respiro.
A tutti gli effetti si può considerare la corsa come una forma di concentrazione e forse di meditazione in movimento.
Non solo. È ormai risaputo che la corsa stimola la secrezione di endorfine, gli ormoni del benessere. E la finalità dello yoga non è forse quella di stare bene e prendersi cura di sé?
Running Yoga
Chi ama correre lo sa. Troviamo il luogo, il momento buono per noi, l’abbigliamento comodo e possiamo iniziare a sentirci bene.
Usciamo dai nostri impegni ed entriamo nella libertà di poter stare con noi stessi.
Un momento solo nostro in cui lasciar emergere liberamente percezioni e sensazioni, immagini, ricordi che creano ogni volta un nuovo spazio di ascolto.
Una completa immersione in una condizione di crescente leggerezza mentale in cui stare nel corpo, nell’incedere sulla terra a ritmo del cuore.
Ogni nuovo movimento ci permette di armonizzare corpo e respiro, ogni passo è un tocco vitale che ci riconnette alla nostra interiorità sopita.
E il nostro correre diventa a tutti gli effetti una forma di pratica sottile.
Se nella corsa sembra prevalere l’aspetto motorio, con lo yoga (in particolar modo lo yin yoga) si scende sul piano della connessione interna. Con lo yoga diminuiscono le tensioni articolari e muscolari per cui il movimento durante la corsa sarà più libero e fluido.
Si tratta di un lavoro in sinergia con tutte le diverse parti di noi. Se sei un/a runner appassionato/a, sappi che non ti sto invitando ad appendere le scarpe al chiodo. Al contrario, se ami la corsa e non hai mai pensato di dedicarti alla pratica devi sapere che lo yoga potrebbe essere un’esperienza utile e dal comprovato valore integrativo.
I momenti dedicati alla corsa potrebbero diventare un’occasione per migliorare il tuo ascolto, un’opportunità di conoscerti meglio e un modo nuovo di stare nel fare. Con le sue posizioni specifiche lo yoga ti può accompagnare in questo tanto da diventare, come spesso accade, una pratica efficace e complementare alla corsa.
La combinazione corsa e yoga infatti concentra i benefici di entrambe le esperienze.
Con la corsa viene favorito un miglioramento a livello cardiaco e muscolare, con lo yoga si facilita distensione e resistenza, rilascio di endorfine e concentrazione in un caso e rilassamento e presenza dall’altro. L’unione delle due pratiche comporta benefici in termini di flessibilità. Infatti lo yoga consente di sciogliere tensioni, non solo fisiche, attraverso un costante ascolto anche del corpo.
Una maggiore conoscenza e padronanza del proprio respiro inoltre permette un risparmio energetico non indifferente, consente di aumentare la propria resistenza e favorisce una maggior facilità a mantenere la giusta concentrazione nel movimento e anche nell’affrontare le sfide della vita quotidiana.
Yoga e Nascita, come iniziare?
Ogni fase dell’attesa ha qualità ed esigenze diverse per cui quella che propongo è una pratica adatta ad ogni periodo della gravidanza e il più possibile vicina alla specifica unicità di ogni singola realtà.
Il primo trimestre è caratterizzato dal cambiamento più profondo, tutto si ricalibra e riorganizza in funzione della nuova Vita che si manifesta. In questo caso la pratica è la più gentile dei nove mesi perché volta ad accogliere il momento iniziale con la dovuta delicatezza. È la fase in cui dare maggiore spazio all’ascolto, in cui fermarsi a respirare e meditare, ad accogliere emozioni e pensieri. Con il secondo trimestre la donna inizia a fiorire e a sentirsi più energica così come la creatura che porta in grembo comincia a crescere e a diventare più forte. Questo è il periodo in cui ammorbidire e rafforzare maggiormente le aree della schiena, delle gambe e del bacino per andare a supportare al meglio le ulteriori fasi della gravidanza, nonché il momento del parto. L’ultima fase poi corrisponde al momento più vicino alla nascita, quando ci si può concentrare sulla respirazione e sulle visualizzazioni. In questo ultimo trimestre la mia attenzione è volta a favorire pratiche destinate a migliorare la circolazione sanguigna e a mantenere delicatamente attiva la muscolatura utile al travaglio.
Oltre ad un’attenta considerazione delle diverse fasi della gravidanza e delle particolari e specifiche accortezze richieste dal singolo caso, come nella pratica in generale così anche nella pratica in gravidanza, elemento cardine della nostra esperienza insieme rimane il principio di autoregolazione.
Si tratta di un punto fondamentale che permette ad ognuno di imparare ad ascoltare e assecondare il proprio sentire, ciò che il corpo richiede in ogni diverso momento, sul tappetino e nella vita, e che durante la gravidanza si traduce in un ulteriore elemento di conoscenza e in un aspetto imprescindibile per la buona riuscita della nostra pratica condivisa. In questo modo ogni qui ed ora diventa un nuovo sentire, ogni pratica un’occasione di riconoscersi nel proprio essere naturale.
Ogni esperienza diviene un contatto sempre più autentico, ogni volta ti puoi avvicinare con fiducia alla nascita, ad ogni passo ti puoi accordare con il Cosmo accogliendo la Vita che ti viene incontro.
Yoga e Nascita, quando incominciare?
Ogni momento può essere il momento giusto per iniziare ad ascoltarsi, a conoscersi, a prendersi cura di sé e per iniziare la propria pratica.
Qualsiasi momento della gravidanza lo è ancora di più. In ogni sua fase lo yoga può essere un’occasione preziosa per seguire il proprio sentire nel corpo, per assecondare il naturale processo della creazione che ha tanto da rivelare in un periodo così ricco e intenso nella vita di ogni famiglia.
L’area dell’utero è il centro della spiritualità femminile, è la sede delle nostre energie cosmiche e lo yoga, come strumento creativo di scoperta di sé, durante la gravidanza si manifesta in tutta la sua potenziale completezza. Se in generale la pratica ci riporta al nostro centro, alla vera natura dell’esistenza e ci permette di entrare in un contatto più diretto con la vibrazione della Vita, lo yoga in gravidanza ne rappresenta l’espressione più alta e profonda. Sento la pratica in gravidanza come l’opportunità di sperimentare la nostra connessione originale con le dinamiche sottili dell’Universo che richiamano dal Cielo, come l’occasione di ricontattare il nutrimento radicato della Terra e di riconoscere il potere naturale delle nostre capacità innate. Quella della gravidanza è una dimensione straordinaria che possiamo riscoprire ed assaporare grazie ad una pratica dedicata che armonizza ogni parte di noi attraverso una dolce esplorazione del continuo flusso energetico di trasformazione ed evoluzione.
Durante i mesi dell’attesa entrambi i genitori hanno la possibilità di avvicinarsi alla qualità luminosa del divenire cosmico e non solo attraverso l’esperienza della nascita di un figlio, ma anche attraverso la propria rinascita, e attraverso l’esperienza della pura manifestazione appassionata della Vita.
La madre la sente muoversi dall’interno, in quell’istinto arcaico del dare la Vita e il padre può ascoltarla da vicino, tanto da poterla sentire e vivere. Per entrambi i genitori la pratica condivisa diventa un modo per instaurare un nuovo e autentico approccio al mondo, per rafforzare ed arricchire il loro rapporto e per iniziare la propria relazione d’amore con la creatura che si sta rivelando.
NASCITA, RISVEGLIO e RICORDO
Sento di poter dire che lo yoga durante la gravidanza favorisce il risveglio e il ricordo.
Il risveglio di una consapevolezza innata e naturale che riporta alla propria autentica competenza e il ricordo di un sistema più umano di quello in cui viviamo oggi.
Emerge spontaneo il desiderio di rinascere, di riscoprire la propria vera natura e di dare vita ad un mondo diverso, ad un sistema naturale ed equo in cui tutti si sentano bambini desiderati e considerati nella loro piena completezza.
NASCITA e CAMBIAMENTO
Osservo con piacevole sorpresa come con lo yoga in gravidanza si intensifichi l’intento di avere un ruolo attivo e propositivo nel mondo.
Si accresce il desiderio di partecipare alla guarigione della Terra e alla creazione di un mondo nuovo.
La comunione con la Natura e con l’Universo tipica di questo momento ancestrale facilita il desiderio di conoscere se stessi fin nel proprio centro sacro, fino a trovare quello spazio in cui potersi affidare al proprio sentire, quel luogo in cui conoscere ed entrare in contatto con tutto ciò che ci circonda.
Ogni nuova nascita porta con sé tutto il potenziale del cambiamento.
NASCITA e PROSPETTIVE
La vita è un cerchio che si allarga fino a raggiungere i movimenti circolari dell’infinito.
Anaïs Nin
Amo osservare come la pratica dello yoga nel periodo della gravidanza accompagni a riscoprire la propria intimità profonda.
Questo spesso comporta un cambio di prospettiva e la consapevolezza del fatto che esiste un altro modo di vivere maggiormente vicino ai ritmi ed alle aspirazioni umane.
Quella che diffusamente conosciamo non è l’unica forma possibile di esistenza e questa presa di coscienza porta con sé uno spunto creativo importante.
Il SUONO del SILENZIO
Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del mare, il silenzio dei boschi prima che sorga il vento di primavera. Il silenzio di un grande amore, il silenzio di una profonda pace dell’anima.
Edgar Lee Masters
Ognuno di noi ha riconosciuto in qualche momento della vita la qualità del silenzio. Immersi nell’acqua, rapiti dalla bellezza di un momento, da un suono nutriente o semplicemente trovandoci in uno stato di presenza piena, tutti abbiamo sentito come il silenzio ci accoglie, conforta e nutre ogni parte di noi.
Rigenera il corpo, calma la mente e apre il cuore.
La scienza ha ormai dimostrato che il rumore ha effetti significativi sul nostro stato di benessere. Il rumore da cui siamo costantemente circondati nella realtà quotidiana aumenta la produzione di ormoni dello stress e questo va a limitare la nostra creatività, la connessione con noi stessi e la nostra fluidità mentale.
Ma se il rumore crea stress, il silenzio lo allevia e lo fa sciogliendo tensioni fisiche e mentali. E’ stato di recente dimostrato che il silenzio reintegra le nostre capacità cognitive. Il silenzio ristabilisce ciò che il rumore costante danneggia.
La vita moderna ci richiede di processare enormi quantità di informazioni quasi senza poterci prendere pause. I continui input esterni, la costante richiesta di attenzione e di elaborazione di informazioni porta il nostro sistema in sovraccarico. Prendersi una pausa, recuperare spazio di ascolto, passare del tempo da soli e in silenzio ci aiuta a ritrovarci e a recuperare il nostro centro.
Lo Yoga da millenni lo sa, il silenzio cura. Esso ci conduce a livelli di interiorità profonda, armonizza il nostro intero essere ed ora anche la scienza lo conferma.
E non è un caso che pratiche antiche come lo yoga e la meditazione, che si fondano sul silenzio, invitino ad un ascolto ripetuto nel tempo. Del resto, facendo spazio alla voce del silenzio potremmo sentire tanto di ciò che normalmente non udiamo, potremmo percepire qualcosa di noi che prima non avevamo la possibilità di cogliere. Più ci soffermiamo a dedicarci momenti di silenzio, anche per pochi minuti magari ripetuti nell’arco della giornata, maggiore sarà la nostra generale propensione all’ascolto di noi stessi, degli altri, di ciò che ci accade intorno e molteplici saranno i benefici anche in termini di presenza diffusa e consapevolezza crescente.
A questo proposito mi ha colpito in questi giorni la domanda di chi mi ha chiesto se davvero vale la pena di praticare un ascolto di sé profondo. Nel senso che forse sarebbe più semplice vivere in superficie, lasciando che tante cose rimangano sconosciute per evitare di imbattersi alle volte in qualcosa che ci crea disagio o possibile sofferenza. Ed è una domanda che mi sono posta nel tempo e che ogni volta mi aiuta a soffermarmi su alcuni elementi della pratica in generale ma in particolare su quella del silenzio. Naturalmente ogni silenzio è diverso e la scelta o forse la sfida di dedicarsi un tipo di attenzione profonda, come quella del silenzio, rimane argomento libero e del tutto personale. Ma riflettevo sul fatto che forse siamo abituati ad approcciare al silenzio come a qualcosa di totalmente sconosciuto, come a una dimensione di vuoto che potrebbe evocare inquietudine.
Se invece iniziassimo a guardare al silenzio come a un luogo nostro e pieno in cui riuscire di volta in volta a ritrovare qualcosa in più di noi? Ad avere qualche informazione nuova e forse preziosa sul nostro essere?
Di certo il silenzio lascia parlare ogni parte di noi, lascia spazio a divisioni, contraddizioni, difficoltà che spesso ci spaventano e scoraggiano. Ma nello stesso silenzio spesso riusciamo ad incontrare spiragli di unione, di integrità e semplicità autentica. Il mio silenzio lascia emergere indistintamente il rumore della sofferenza, il brulicare delle voci inascoltate, il potere del mio suono puro e il canto delle mie passioni. Per me il silenzio è uno spazio denso. È un luogo che più ricopro di attenzione meno mi spaventa. È un sentire che si approfondisce nel mio suono e diventa un suono sempre più colmo di me.
Se oggi qualcuno mi chiedesse di definire la qualità del silenzio in una parola non avrei dubbi a scegliere il termine ricchezza. E parlerei di ricchezza non solo perché nel silenzio c’è tanto di noi ma anche perché tutto ciò che accogliamo nel silenzio con un intento amorevole si trasforma in una risorsa di conoscenza e cura che sento inestimabile.
VUOTO INTERIORE
Quando indugiamo nel silenzio non è detto che siamo fermi.
Fermarsi nel silenzio significa sostare in quello che c’è, significa sospendere il nostro pilota automatico anche solo per pochi istanti.
Certo è difficile farlo se siamo immersi negli impegni del quotidiano ed è vero che soprattutto per i primi tempi la pratica dell’immobilità del corpo si rivela efficace.
Lentamente però potresti familiarizzare con le varie soste tanto da RITROVARTI NATURALMENTE nel SILENZIO senza doverti assentare dalla tua vita.
Io sento questo passaggio come un graduale affidarsi al proprio vuoto interiore, ad una nostra parte che è piena di ENERGIA.
ASCOLTO
The inspiration you seek is already within you. Be silent and listen.
Rumi
Ti è mai capitato di voler ascoltare una nuova canzone che ti piace e di non volere niente intorno che ti disturbi o interrompa nell’ascolto?
In questi casi, che tu ti chiuda in una stanza o semplicemente indossi le cuffie alzando il volume, ti stai fermando. Stai focalizzando tutta la tua attenzione sull’ASCOLTO.
Bene, io credo che i primi passi utili verso il silenzio interiore siano quelli del ricercatore curioso che sente di voler INDUGIARE.
PRESENZA, ASCOLTO e SILENZIO

Per liberarci da false credenze e meccanismi di difesa potremmo avere bisogno di gentile presenza, ascolto amorevole e silenzio.
In ogni momento siamo i soli a poterlo decidere invitando così la mente a collaborare.
Durante la pratica o tra le varie incombenze della nostra giornata possiamo scegliere di dedicarci del tempo di ascolto in cui dare voce alla nostra parte più profonda e autentica.
Ogni volta che l’intenzione è la cura di sé, la presenza diventa un richiamo, l’ascolto si amplifica e il silenzio non può che raccontarci di noi.
ERRORI ed OCCASIONI

Hai mai fatto degli errori nella vita?
La risposta più comune che sento è un sì convinto contornato dall’espressione di chi ne ha inanellati una serie.
Se ci focalizziamo a vedere le nostre decisioni come degli errori saremo alimentati dal timore di sbagliare di nuovo.
E se invece ci liberassimo da questo meccanismo?