Sento lo yoga come un’esperienza piena che nasce dall’incontro programmato con noi stessi sul tappetino. Ma a volte siamo lì, con l’intenzione di ritrovarci, e questo non accade o non avviene come vorremmo. A volte siamo in difficoltà, viviamo un ascolto interiore faticoso o un’emozione difficile. Mi sento di poter dire che spesso abbiamo aspettative lontane dalla nostra vera natura. Chi si dedica alla pratica con attenzione interiore sa di cosa sto parlando, sa di poter affrontare, grazie allo yoga, un continuo e concreto viaggio, spesso faticoso, attraverso la propria umana esistenza.
Forse si tratta di fare i conti con un certo senso di inadeguatezza.
Con il fatto che probabilmente non siamo abituati a fidarci del nostro sentire. I timori che abbiamo a volte nascono da una mancanza di fiducia in noi stessi e nella nostra capacità di prenderci cura di noi. In questo senso mi rendo sempre più conto di quanto lo yoga oltrepassi di molto la pratica del tappetino e di quanto sia importante tradurre quell’esperienza nella vita quotidiana. Il modo in cui respiro, mi siedo o sto in piedi, come mangio o cammino: ogni aspetto della mia esistenza può diventare yoga.
Viviamo nel mito dello yoga: un mito basato sul giudizio secondo cui una posizione deve essere eseguita in maniera perfetta, per cui il rilassamento è uno stato da perseguire ad ogni costo e la flessibilità una qualità imprescindibile.
Dunque anche nello yoga, come nella vita, ci troviamo costretti a fare i conti con la nostra paura di non essere abbastanza. Affrontiamo la pratica con grandi aspettative, come quella di imparare a riprodurre le posizioni acrobatiche che oggi vediamo pubblicizzate ovunque o quella di riuscire a controllare corpo e respiro secondo particolari dettami, senza però lasciare spazio all’ascolto di ogni prezioso momento dell’esperienza yogica. E così rendiamo il tappetino un campo di battaglia. A volte ci sembra di vincere, e raggiungere soddisfatti i nostri sperati obiettivi, altre volte no e magari cediamo alla frustrazione e cambiamo strada. In ogni caso ci perdiamo l’insegnamento più importante e l’essenza di questa antichissima disciplina.
È solo quando lasciamo andare il timore di non essere all’altezza che ci accorgiamo delle immense potenzialità custodite nella pratica e realizziamo la grande contraddizione che diversamente porremmo in essere.
Ci dedichiamo allo yoga per coltivare il nostro ben-essere ma, spinti dal senso di inadeguatezza, cerchiamo un dover essere in qualche modo standardizzato e chiaramente diverso da ciò che siamo. Ci concentriamo sulla prestazione senza accorgerci di avere a disposizione la grande opportunità di sperimentare e conoscere chi siamo noi, liberi da condizionamenti e aspettative. Quando l’esperienza della pratica nasce dal desiderio di prenderci cura di noi, dimentichiamo ogni necessità di dover essere chi non siamo e di misurarci con altro di diverso da noi, per lasciare spazio ad un sentire profondo che ci consente di prendere coscienza del nostro personale e irripetibile cammino sulla Terra.
Quando ci focalizziamo sull’ascolto gentile che lo yoga ci offre, possiamo incontrare un sentimento nutriente, riscoprire nei nostri confronti una tenerezza insolita: una risorsa da cui attingere forza e in cui coltivare la nostra integrità. È da qui che ci potremmo allora accorgere della ricchezza di ogni esperienza e anche stupire del grande paradosso iniziale.