Il Linguaggio dello Yoga
Ogni cosa esistente si compone di una vibrazione e di una frequenza elettromagnetica. Comunemente le parole delle lingue moderne hanno la funzione di indicare e connotare l’oggetto cui si riferiscono, invece il Sanscrito denota la vibrazione e la frequenza di quell’oggetto. Il vocabolo che lo descrive esprime la sua vibrazione nel mondo, facendo sì che suono e significato non siano più due entità distinte.
Il Sanscrito è una lingua vibrazionale perché non è il solo suono a dare importanza alla parola ma la vibrazione che trasmette. Il suo alfabeto è formato da sillabe chiamate Mantrika (Piccola Madre) perché in ognuna è insita la capacità di manifestare e creare l’energia e la vibrazione di ciò che si sta nominando. Questo è il potere del Sanscrito ed è il motivo per cui spesso i maestri chiedono di ripetere i Mantra senza doverne manifestare il significato letterale. L’essenza primaria del Mantra è connaturata nel suo suono.
Ogni parola di questo straordinario linguaggio ha molte sfumature e significati, si tratta di una lingua evocativa e ogni espressione possiede un tale profondo significato da raggiungere la vera essenza dell’oggetto che descrive.
Si parla di lingua vibrazionale anche perché le parole si possono sentire attraverso il corpo. Le singole sillabe vi accedono attraverso diverse vibrazioni, toccando punti specifici. Se consideriamo il fatto di essere costituiti per la maggior parte di acqua, è più facile comprendere che come una goccia nell’acqua crea movimento, così una vibrazione energetica risuona nel nostro movimento interiore. È comprensibile allora come lo Yoga rappresenti un fecondo percorso di cura di sé anche grazie all’apporto fondamentale di un linguaggio vitale quale preziosa opportunità di favorire la guarigione del corpo fisico, emotivo, mentale e spirituale. Personalmente condivido la ricchezza dei Mantra, e la propongo nella mia pratica, come una modalità di ascolto intimo che riallinea interiormente e sintonizza con la vibrazione universale. L’intonazione delle loro sillabe favorisce un diretto contatto con la nostra parte più autentica permettendoci di ascoltare, purificare ed armonizzare ogni livello del nostro essere. Del resto si dice che il Sanscrito, originariamente chiamato Devangari (cioè il mezzo di comunione con gli dei) sia molto più di un linguaggio e che il suo suono possa riflettere quello cosmico, il Suono universale che genera, nutre e sostiene ogni cosa. Non è un caso che nella religione induista l’utilizzo del Sanscrito sia la prima Sadhana, la prima pratica salutare diretta a riportarci alla nostra connessione con il Tutto. E non lo è nemmeno il fatto che le divinità vediche siano considerate i semi dell’Universo e che da questi sia stata sviluppata ogni lettera dell’alfabeto di questa incantevole lingua.
YOGA come LASCIARE ANDARE
Lasciare significa lasciare che per un po’ le cose seguano il loro corso, che si muovano liberamente senza il nostro intervento, finché la direzione del loro movimento non si mostri spontaneamente. Se rinunciamo a tentare di guidare le cose e quelle muovendosi si allontanano da noi, lasciamole andare. Molliamo la presa. Se le lasciamo andare per la loro strada ci rendiamo liberi per qualcos’altro.
Bert Hellinger
Se ripenso alle mie difficoltà nella pratica degli inizi e a tutte quelle incontrate nell’arco del tempo mi risulta facile concordare con chi sostiene che il lasciar andare sia il più difficile degli asana. Nella vita di tutti i giorni spesso troviamo qualcosa che ci blocca e che si esprime come una tensione fisica, un pensiero ricorrente che richiama tutta la nostra attenzione o come tanto altro che in qualche modo ci distoglie da noi stessi.
Quando mi trovo in queste situazioni mi accorgo di come lo yoga abbia la qualità di orientarmi efficacemente al momento presente e di come la pratica mi permetta di sperimentare con gentilezza tutto ciò che emerge in me e che incontro al di fuori.
Spesso si ritiene che per migliorarsi in qualcosa si debba intervenire con un lavoro più intenso, con un’attività maggiore. Io invece ogni volta mi accorgo di quanta forza ci sia nella non azione e di come si tratti di un solo apparente approccio passivo alle cose. Sento che offrire energia alla non azione, sia fisica che mentale, significa coltivare un intento specifico e cosciente. Partendo infatti dal corpo posso iniziare ad ascoltare, ad accogliere percezioni, sensazioni piacevoli oppure tensioni e da qui imparare a prendermi cura di me in un processo di consapevolezza che inizia sul tappetino e si sviluppa nei vari ambiti dell’esperienza fino a coinvolgere tutta la vita che mi circonda.
Quando inizio a dedicarmi alle tensioni, a sentirne il significato attraverso cura e attenzione, nel rispetto dei miei tempi, le aiuto a sciogliersi.
Così nella vita di ogni giorno ho la possibilità di soffermarmi a comprendere un’emozione o una situazione per arrivare poi a sentire di poterla lasciare andare. Mi permetto di ascoltare e capire ciò che desidero mantenere per distinguerlo da tutto ciò che voglio liberare. Poco a poco realizzo di avere un potere solo parziale sulle cose, imparo ad apprezzare la mia libertà unita a quella degli altri e al contempo nutro la possibilità di fidarmi dell’esperienza che diventa una preziosa guida. Sento nell’abbandonarsi al corpo un’opportunità di conoscersi e nel lasciare andare una potenzialità costruttiva che vivo come un atto di estrema fiducia nella natura nascosta delle cose. Lo propongo come un punto di partenza e ripartenza costante perché ne apprezzo l’energia che vibra di libertà in cui so di poter indugiare ad occuparmi di me in qualsiasi momento. Spesso ne percepisco la fatica perché si tratta di un lavoro profondo che richiede dedizione e costanza. Ma ogni volta è un nuovo pezzetto di me che si rivela e fiorisce.
Credo che lasciar andare significhi diventare audaci, avere il cuore di scoprire la vita che si svela di fronte a noi e il coraggio di accoglierla in una condizione di apertura e gioia.
Nel SILENZIO del SUONO 26/06
Nel SILENZIO del SUONO ascoltiamo la creazione di relazioni di CONOSCENZA e CURA
Incontro di armonizzazione sonora di KalpaYogA in via
Amerigo Vespucci – 6/f, Torino
presso Associazione Nuove Vie
Lo Yoga, quale strumento del SUONO, attiva ogni parte di noi aprendoci a nuove comprensioni, a libere soluzioni e a più sottili stati di CONSAPEVOLEZZA
Vuoi saperne di più?
https://kalpayoga.com/what/soundyoga/
Per maggiori informazioni e prenotazioni:
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YOGA come SUONO
Secondo la tradizione yogica la VIBRAZIONE è la forma di vita più originale e primordiale. Il SUONO è materia e ogni parola detta, ogni frase articolata è un mondo in divenire.
La natura ci ha donato risorse adeguate cui poterci affidare per occuparci del nostro benessere. Come il respiro ci aiuta ad entrare in contatto con il nostro sentire e a prenderci cura di noi, così anche il suono è uno strumento innato di CONOSCENZA e CURA.
Se attraverso il suono e la parola ho la facoltà di creare, mi viene naturale interrogarmi su quanta CONSAPEVOLEZZA ci sia in ciò che esce dalle mie labbra.
Spesso mi sono accorta di avere una coscienza minima o solo parziale di ciò che sto esprimendo e questo è il motivo per cui, alla ricerca di possibili strade per comprendere meglio il mio mondo interiore, ho trovato nello yoga un aiuto concreto e nella pratica del suono una naturale via di contatto e conoscenza.
Lo yoga facilita l’ascolto della nostra VOCE interiore e ci conduce a lasciarla emergere. Attraverso la pratica del suono ci possiamo riconnettere con la libertà di ESSERE chi siamo fino a ricongiungerci al suono comprensivo dell’Universo dove confluire e riconoscersi tutti insieme, ognuno nella unicità della propria esistenza.
Sento infatti che quando la comunicazione diventa più consapevole esprime maggiormente la mia verità, favorisce un miglioramento del mio stato psicofisico e al contempo può incoraggiare una maggior consapevolezza in chi mi circonda.
Se mi apro ad una visione più ampia delle cose, in una prospettiva di insieme in cui ogni essere come singola entità possa ritrovarsi parte di un unico sentire, mi accorgo di come il suono della presenza di ognuno riesca a coinvolgere tutti in una fertile rete creativa che nasce dalla riscoperta di sé, per diventare strumento di comprensione reciproca ed anche un modo di occuparsi degli altri.
Possiamo rendere terapeutico il nostro suono se permettiamo che esso nasca come NUTRIMENTO. Se il suono è materia, per poter nutrire deve essere una forza che parte dal sentire più profondo, dalle vibrazioni del cuore del mondo.
Quando un suono coincide con il nostro vero essere, quando diventa manifestazione di qualcosa che abbiamo nel cuore, può creare una prospettiva limpida di ASCOLTO e AZIONE.
Questa corrispondenza pura tra sentire e agire può favorire il cambiamento e accompagnarci a comprendere come prenderci cura di noi, di chi ci sta accanto e del mondo che ci costruiamo attorno.
Perché il mio blog?
Amo molto la ricchezza dell’insegnamento inteso come scambio continuo. All’interno della mia esperienza sento importante comprendere la natura unica di tutti i soggetti che vi partecipano affinché insegnante e praticanti possano creare insieme ogni nuovo momento del percorso condiviso.